giovedì 14 gennaio 2016

Tre domande a Emanuele Vannini

Ciao Vannini (io sono abituato a chiamarlo Vannini), perché hai scritto Il tensore di Torperterra?
Ciao belli! Ho scritto il Tensore perché me l’ha chiesto Blonk, la casa editrice - a livello di meccanica della faccenda – perché io mica ci avevo mai pensato che potevo scrivere una roba lunga come un romanzo, né sapevo se ne sarei stato capace o meno. Come motivazione, c’è stato che m’han chiesto di scriverlo nel momento in cui avevo delle cose da dire e una storia che mi frullava nell’ampio spazio inutilizzato che ho in testa. Queste sono le motivazioni ufficiali, vi piacciono? Poi, la realtà – invece – è che l’ho scritto perché quelli che scrivono piacciono alle donne.

Dove, come e quando l'hai scritto?
L’ho scritto in cucina, ma state tranquilli: nella mia. Non è che – se ne scrivo un altro – rischiate di trovarmi nella vostra. Forse. Nel caso mi trovaste nella vostra cucina – di notte - a scrivere un libro, comunque, lo so che avreste tutte le ragioni per arrabbiarvi, però trattatemi comunque con gentilezza, per favore. Ho pensato il libro per un po’ e mi sono segnato date, personaggi e frasi che volevo entrassero nel Tensore su un cartellone che avevo sempre in vista. Intanto, leggevo e mi documentavo sull’ambientazione storica. Poi, per circa un mese e mezzo, ho scritto. Da mezzanotte alle tre di notte circa, tutte le notti del giugno e della prima metà di luglio di un paio di anni fa, dato che il lavoro che facevo all’epoca me lo permetteva e – soprattutto – che io son sempre stato una bestia parecchio notturna. L’ho scritto di getto, circa tre o quattro pagine a notte, mentre ogni tanto mi buttavo sotto il tavolo perché entravano delle falene enormi. Evidentemente, tra le bestie notturne, io non sono quella in cima alla catena alimentare. Delle volte mi buttavo all’indietro come i sommozzatori dal canotto e mi trovavo a rotolare in terrazzo, così mi fumavo una sigaretta e intanto guardavo le falene enormi con disapprovazione, muovendo la testa come a dire No e polemizzando “…è così, che rispetti la letteratura?!”. Non ha mai funzionato, anzi: delle volte mi pareva che le falene enormi volassero sullo sfondo del soffitto della cucina, a comporre la scritta Non te ne frega niente della letteratura, scrivi solo perché quelli che scrivono piacciono alle donne. Le falene, pure quelle enormi – OH! – saranno anche sceme dure con questa cosa di scambiare le luci artificiali per le stelle o la luna e di farsi friggere dai neon azzurrognoli appesi nei locali fighi che frequento io ma, per altre cose, si vede, che hanno dell’intuito.

È bello?
Sì, anche se l’ho scritto io.


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Emanuele Vannini, che alcuni conoscono come Van deer Gaz, ha un blog dove scrive e disegna (soprattutto scrive). Nella vita gli è capitato anche di scrivere delle cose per Barabba come quel racconto pazzesco che è Va là tugnino per le Schegge di Liberazione.
Il tensore di Torperterra fu il suo esordio letterario elettrico per l'editore Blonk nel lontano 2013, e Vannini l'avevamo già intervistato alla rovescia, all'epoca. Ma visto che, caso più unico che raro per un editore che fa principalmente ebook, Il tensore di Torperterra è stato in questi giorni stampato su carta, cellulosa e idrocarburi, abbiamo pensato bene di fargli altre tre domande.
Adesso che sono finite le feste e avete smesso di fare dei regali agli altri, fatevene uno col tensore di Torperterra, ultimo classico romagnolo di un grande scrittore vivente.

lunedì 4 gennaio 2016

Tre domande a Cristiano Micucci

Ciao Mix (per gli amici Cristiano Micucci si chiama Mix), perché hai scritto Eccì?
Eccì l'ho scritto perché un giorno mi è capitato davanti, probabilmente per la biliardesima volta nella mia vita, quel dettaglio sulla velocità degli starnuti che lascia sempre tutti stupiti per alcuni secondi, poi non gliene frega più niente a nessuno, e forse è per questo che non ci sono tanti libri che parlano di starnuti. Insomma ho letto che gli starnuti vanno a 200-300 o anche di più (ogni fonte riporta cifre diverse) chilometri orari, e come tutte le volte precedenti sono rimasto a bocca aperta, e ho pensato che era una velocità incredibile, che non ci si aspetta mica da uno starnuto. Poi però, passati alcuni secondi, invece di cliccare altrove o girare pagina, invece di fare come tutte le volte precedenti, mi sono chiesto Chissà cosa succede aumentando la velocità, che mi pare anche una considerazione da scienziato (io spesso mi spaccio per uomo di scienza), o quantomeno da empirista (io spesso mi spaccio per uomo di filosofia), così ho deciso di scrivere cosa succedeva, giocando a sproposito con quella variabile, ed è venuto fuori Eccì.

Dove, come e quando l'hai scritto?
L'ho scritto nella sala lettura (e scrittura, evidentemente) della biblioteca comunale di Matelica. Non è che ci vado apposta, a Matelica, che è un paesino della provincia di Macerata, ci abito proprio, quindi mi resta piuttosto comodo, almeno rispetto a, che so, Roma o Vibo Valentia. La biblioteca, intitolata a Libero Bigiaretti, è un luogo tranquillo, sebbene molto vivo, in cui sono di casa, e c'è una rete wi-fi sufficientemente lenta da limitare le distrazioni da social network. Inoltre, essere circondato da libri è stimolante, perché appena vedi uno spazio vuoto pensi Ecco, lì ci starebbe proprio bene il mio, di libro.
L'ho scritto su Naima, che è il mio netbook (do i nomi ai computer, sì. Non lo fanno tutti?). È un po' vecchiotto, c'è da dire, ma con Xubuntu (è un sistema operativo) è abbastanza scattante: tanto, per scrivere non serve mica Pensiero profondo, basta poco. Come programma ho usato Abiword, anche se sempre più spesso scrivo tutto con editor di testo minimali e salvo ogni cosa in txt. Less is more, diceva Dante Alighieri.
Eccì è stato scritto in due fasi. Anzi tre. La prima mi pare fosse verso l'autunno del 2014. Raggiunta una bozza di alcune pagine e molti appunti, lo lasciai da parte (io faccio così, di solito, coi testi lunghi: inizio a scrivere una cosa, poi a un certo punto mi annoio, arranco, e lascio stare, e inizio a scrivere altro. Poi riprendo in mano questi abbozzi dopo mesi, o anni, e riparto). All'inizio della primavera del 2015 l'ho ripreso e dopo non più di due mesi avevo una prima stesura piuttosto sostanziosa. Infine c'è stata una terza fase di scrittura, messa in moto dai sacrosanti consigli di Lele Rozza (editor di Blonk), che ha portato Eccì al suo volume attuale. L'ho scritto di giorno, comunque.

È bello?
È un tipo.


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Cristiano Micucci (Mix) ha un blog dove scrive delle cose che fanno ridere e bene alla pelle. Spesso gli passa per la testa anche di scrivere su e per Barabba (tra cui anche un libro di racconti digitali).
Eccì, che è uscito qualche giorno fa (l'anno scorso!) in formato elettrico per Blonk, non è propriamente il suo esordio letterario, ma forse sì. Comunque, mentre lo leggevo, prima delle ferie, in pausa pranzo, a un certo punto ho dovuto smettere per non sputazzare le penne all'arrabbiata sulla schiena di uno seduto nel tavolo di fronte al mio.