martedì 22 dicembre 2015

Tre domande a Ginevra Lamberti

Ciao Ginevra, perché hai scritto La questione più che altro?
Ho iniziato a scriverlo nel momento in cui ho compreso che la mia idea di quel che mi sarebbe piaciuto fare era frutto di un equivoco. Cioè, ho iniziato a scriverlo quando ho capito che sarei stata una sega come giornalista e che quel che usavo mettere nero su bianco già da diversi anni non era la cronaca del quotidiano ma la sua narrazione/rappresentazione. Poi mi sono arenata. Poi l’ho finito perché mio padre è mancato e pensavo di doverlo restituire al mondo in tutta la sua bellezza non compresa. Poi è finita che mi sto accorgendo che è stato lui a portare nel mondo me.

Dove, come e quando l'hai scritto?
Davanti alla stufa nella casa materna, in treno, in una stanza singola di un appartamento condiviso, in una stanza doppia di un appartamento condiviso, in treno, in autobus, su un foglio A4 tra una chiamata e l’altra in un callcenter, alla fermata del vaporetto, seduta per terra, in ospedale, camminando, riempiendomi le tasche di pizzini accartocciati durante i turni al ristorante, al computer, sul diario, sul retro degli scontrini, la mattina presto, a notte fonda, in pausa, a singhiozzo, tra il novembre del 2010 e l’agosto del 2014, con lunghi silenzi nel mezzo.

È bello?
È un tipo.


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Ginevra Lamberti ha un blog inbassoadestra. Nella vita le è capitato di scrivere anche delle cose su Barabba e su Schegge di Liberazione.
La questione più che altro è, come si dice, il suo esordio letterario, uscito qualche mese fa per le edizioni nottetempo.

Fate ancora in tempo a correre in libreria per poi infilarlo in qualche cesto natalizio. Secondo me viene un bel regalo.

martedì 1 dicembre 2015

Tre domande a Elena Marinelli

Ciao Elena, perché hai scritto Il terzo incomodo?
Ho scritto Il terzo incomodo perché volevo additarlo in pubblico e un post su Facebook mi pareva troppo poco.

Dove, come e quando l'hai scritto?
L'ho scritto in un anno e mezzo circa, con due riscritture, a parte i capitoli finali che ho riscritto quattro volte. Io sono lenta a scrivere e mi aiuta molto riscrivere, è una cosa che ho imparato ad apprezzare da pochi anni a questa parte, deve essere l'età, dice che si diventa più pazienti. Scrivevo dalle 5.45 alle 7.40 dal lunedì al venerdì, dalle 8.30 alle 17 il sabato e la domenica con una pausa di una mezz'ora per il pranzo e dalle 8.30 fino almeno alle 11 durante le feste comandate o le ferie.
Anche il posto era abitudinario: seduta alla mia scrivania, con il computer, guardando un muro bianco di fronte a me e una finestra che affaccia su Milano alla mia destra. Il muro bianco l'ho scelto perché uno scrittore statunitense molto bravo in un'intervista in tv una volta ha detto che scriveva guardando un muro bianco*. Ho pensato che tentare non mi sarebbe costato nulla, letteralmente, perché non avrei dovuto dipingere niente. Il computer l'ho scelto perché è comodo. Ho cambiato solo per un Natale e una Pasqua, perché non ero a Milano e mi sono dovuta adattare; il computer era sempre quello, ma di fronte a me c'era lo spettacolo panoramico delle colline molisane dove sono cresciuta.

È bello?
È diviso in due parti. A molti è piaciuta più la prima della seconda, ad alcuni più la seconda della prima. Qualcuno si è affezionato a due personaggi che sembrano minori, Memè e Marianna, e io l'ho chiamato "Fattore M", altri mi hanno detto che Teresa, la protagonista, è un personaggio molto interessante. Una domanda molto bella che mi è stata fatta è perché ho scelto i nomi che ho scelto - io sono molto attenta ai nomi che uso, hanno un significato preciso nella storia e per il suono complessivo prodotto dalle lettere.
Una persona ci ha tenuto a sottolineare che gli è piaciuto «assai» e quell'assai mi ha fatto molto piacere.
Per fortuna nessuno fino a questo momento mi ha detto che so scrivere come uno scrittore maschio.

*Il video non l'ho trovato, quindi può essere che me lo sia immaginato.

Grazie delle domande.


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Elena Marinelli ha un blog tutto suo, scrive(va) su Barabba collo pseudonimo di osvaldo e se guardate nel catalogo di Barabba Edizioni ci sono un paio di libri che ha scritto.
Il terzo incomodo è il suo esordio letterario nell'editoria reale, è uscito di questi tempi per Baldini & Castoldi ed è un libro molto bello. Noi del soviet barabbista supremo siamo molto orgogliosi di lei.

Lo scrittore americano che scrive davanti a un muro bianco mi sembra di ricordare che fosse Paul Auster, che da qualche parte disse che se metteva il tavolo davanti alla finestra del salotto di casa sua, a Park Slope, Brooklyn, NY, là fuori c'era talmente tanta vita che smetteva di aver voglia di scrivere.

martedì 24 novembre 2015

Un dato

Se provate a chiedere a bruciapelo a chi vi sta intorno, al lavoro, a scuola, in casa, per la strada, dove vi pare, quando sono stati compiuti gli attentati a Parigi, difficilmente, anzi quasi mai, senza googlare o magari contare un-due-tre con le dita e lo sguardo verso l'alto, vi verrà risposto al volo con la data precisa. Provate.
Non so cosa voglia dire. Però è un dato.

giovedì 19 novembre 2015

Col viso rivolto a oriente

"Un tratto della rozzezza dei Franchi - Dio li confonda! - è questo. Quando visitai Gerusalemme io solevo entrare nella Moschea al-Aqsa, al cui fianco c'è un piccolo oratorio, di cui i Franchi avevan fatto una chiesa. Quando dunque entravo nella Moschea al-Aqsa, dove erano insediati i miei amici Templari, essi mi mettevano a disposizione quel piccolo oratorio per compiervi le mie preghiere. Un giorno entrai, dissi la formula Allah akbar e ristetti per iniziar la preghiera, quando un Franco mi si precipitò addosso, mi afferrò e volse il viso verso oriente, dicendo: «Così si prega». Subito intervennero alcuni Templari, che lo presero e allontanarono da me, mentre io tornavo a compiere la preghiera. Ma colui, colto un momento che non badavano, mi si ributtò addosso rivolgendomi la faccia a oriente, e ripetendo: «Così si prega». E di nuovo i Templari intervennero, lo allontanarono, e si scusarono con me dicendo: «È un forestiero, arrivato in questi giorni dal paese dei Franchi, e non ha mai visto nessuno a pregare fuorché col viso rivolto a oriente». «Ho pregato abbastanza», risposi; ed uscii, stupefatto per quel demonio che tanto si era alterato e agitato al veder pregare in direzione della Qibla!"

(Usama ibn Munqidh, Libro degli ammaestramenti, 1130 circa)

giovedì 12 novembre 2015

Sulla statale che collega Modena e Carpi

L'altro giorno, mentre eravamo in macchina sotto il sole di mezzogiorno sulla statale che collega Modena e Carpi, o forse è una strada provinciale, ma poco importa, e leggevamo ad alta voce la storia di un coccodrillo che partecipa a Lascia o raddoppia e crea scompiglio ingoiando e poi rigurgitando gli altri concorrenti e perfino Mike Bongiorno, mi è venuta improvvisamente questa illuminazione, non avallata da ulteriori analisi, approfondimenti o evidenze, che potrebbe anche essere una cavolata, sia chiaro, ma più ci penso e più sento che prende la forma di un assioma che potrei tatuarmi sul petto, e cioè: Gianni Rodari è il nostro Bulgakov.

giovedì 5 novembre 2015

Il declino dell'impero occidentale (2)

Per fare un altro esempio di come stiamo arrivando dove stiamo arrivando, o forse ci siamo già arrivati, chi lo sa, basti pensare agli apericena e alle gare tra i cuochi in televisione, o al fatto che dopo i trentacinque anni si son messi tutti improvvisamente a correre a piedi, e così via, beh, insomma, mi viene in mente quando cercavo su internet una ricetta per la crema pasticcera, e ne trovavo solo che dicevano alla fine della ricetta di ricoprire la crema con uno strato di pellicola prima di metterla in frigo, per evitare la formazione della «fastidiosa pellicina» che ci viene altrimenti. E mi saliva il magone, una cosa un po' proustiana, pensando a mia sorella e a me che ci contendevamo ogni millimetro di pellicina della crema che aveva fatto nostra madre, e quando finiva la pellicina, sotto ci poteva essere ancora un chilo di crema, noi la lasciavamo lì, che magari a stare in frigo, andare a sera, la superficie si sarebbe indurita ancora un po', e si poteva continuare la battaglia.

martedì 3 novembre 2015

Il declino dell'impero occidentale

Se uno vuole andare a cercare le cause del continuo, progressivo disfacimento della cultura, per arrivare a capire come può darsi che siamo arrivati così vicini al fanatismo, al trionfo dell'omeopatia, del bio, della guerra ai vaccini, del complottismo, eccetera, ecco, bisogna che parta dalle piccole cose. Per esempio, l'altro giorno quando ho chiesto al salumiere due etti di crudo, e che ci fosse un po' di grasso, quello ha alzato gli occhi insieme a una sorta di sospiro professionale e mi ha detto che non sapeva bene cosa darmi, che ci doveva guardare, che avrebbe provato a soddisfarmi in un qualche modo, ma che adesso non c'è rimasto quasi più nessuno a chiedere il prosciutto crudo con un po' di grasso.

martedì 7 luglio 2015

Lo specchietto appannato

Che poi, io, non le sopporto, le commemorazioni.
Commemorazioni.
Già la parola, con tutte quelle emme.
Quelle emme di memoria, memento, memento mori, ricordati che devi morire, che fan venire il magone.
"Silvia rimembri ancor..." e compagnia cantante.
Commmemmorasioni. Dicono da queste parti, quelli che ci vanno sempre.
E ci sono anch'io, con loro.
Stiam  tutti lì, contriti. Che anche questa come parola: contriti. Vuol dire che ti hanno preso, tagliato per il lungo, per il corto, tritato e poi, col piatto del coltello e i diti, ti han messo lì, in un mucchietto, a star mogio, zitto, triste, con tutti gli altri.

E perché poi, alla fine, uno che non ci vuole andare (nella fattispecie io, il sottoscritto) ci va?
Mica per gli amici, i conoscenti, le persone che ci trova, sempre, come ogni anno, a quelle cose lì.
Siam  mica quelli della messa di natale o dei saluti dell'anno nuovo.
Siam mica quelli dei sorrisi e stretta-di-mano-tutto-bene-a-casa?-grazie-anche-a-voi
Siam lì, anche controvoglia (e vedi invece, che bella parola controvoglia, come se ci fosse un desiderio opposto e forte uguale a un desiderio, che per sua specie, punta al piacere) perché ci commuoviamo, ci vien da piangere, e lì sì ci muoviamo e mormoriamo, ma tutti insieme, come coro greco, come corpo muto, anche se non ci si conosce, anche se non ci son disgrazie comuni.
O beh.
A dirla bene, di solito, salvo qualche rarissima e fugace gioia, son tutte disgrazie comuni, o feste a metà, che cominciano alla grande e poi franano giù, come un ubriaco che lancia il brindisi e cade nel fosso.

E ripensandoci, Morti di Reggio Emilia, quando la sentivo da piccolo, di straforo (anche qui gran parola, la s che si insinua nel tra che si sta buttando nel foro, praticamente un doppio salto olimpico in una tinozza) alle feste dell'Unità, ma mai dalle balere, solo di sguincio, di traverso, mentre andavo per mano ai nonni e cercavo le giostre o le baracchine coi giochi, come nei sogni che non ricordi al mattino, non la capivo, ma restavo sempre impressionato da quel finalone "uscite dalla fossa / fuori a cantar con noi Bandiera Rossa!" e all'epoca chi poteva risalire dalla fossa per me eran solo due categorie, mica esistevano le morti apparenti, il coma vigile, la morte celebrale, guarda il fiato sullo specchietto e via dicendo: o eri uno zombie, o eri Gesù Crist.

Anzi...forse pure Gesù Crist era uno zombie.
Forse era il primo.

Comunque, io, stasera, in piazza Prampolini, a Reggio nell'Emilia, ci vado.
A sentire questa e altre canzoni, a sentire questa e altre storie. Forse anche a cantare.
Si sa mai che certe idee tornino in vita, mentre tutti son distratti dall'uragano del denaro.

E porto uno specchietto.