sabato 15 giugno 2013

Poi si scordino pure di me

È vero quello che ha detto ad Arpino: sta crepando, ma ci mette troppo tempo. Prepararsi a morire, farsi del male senza reagire, distruggersi con l'alcol, è difficilissimo. Ma morire, morire davvero, è un attimo e basta.
Quell'attimo arriva il 14 di novembre, mattina senza pioggia, molto fredda, dopo diciannove giorni di agonia, dopo quarantanove anni di vita agra.
Due giorni dopo, da Grosseto, arriva il furgone funebre mandato dal Comune. Nella Vita agra, dieci anni prima, Luciano aveva scritto: «Io voglio un funerale all'antica (...) un funerale laico, ma d'una certa solennità (...). Non ci voglio i preti, ma gli ex preti ce li voglio, ci voglio quelli che hanno buttato la tonaca alle ortiche e si sono fatti comunisti, pur restando preti nell'animo. Ne voglio quattro di questi preti spretati e togliattizzati, e poi voglio due cavalli neri col pennacchio in capo, due critici letterari a cassetta, ai quattro cordoni del carro ci voglio nell'ordine uno storico, un critico d'arte, un funzionario di casa editrice e un redattore di terza pagina. «Deve essere un bel funerale. Dietro venga chi voglia, tranne le segretariette secche. Loro no. Poi si scordino pure di me.»

Alla partenza del furgone c'è Maria in un angolo che piange.
La bara scivola dentro, l'autista e il becchino chiudono il portellone. Ci sono quattro persone con i cappotti chiusi, venute a salutarlo. Uno è Vacchelli. Il secondo è Sergio Pautasso: «Finché campo non dimenticherò lo squallore di quel funerale.» Gli altri due non se li ricorda più nessuno.

(Pino Corrias, Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano; Baldini & Castoldi, 1993)
Non ci siamo scordati.

Nessun commento:

Posta un commento