domenica 29 aprile 2012

(Trascrizione più o meno fedele di) Un nome nuovo per l'imperatrice (contro la minaccia del self-publishing)

[Quello che segue è il testo dell'intervento che abbiamo fatto nel panel (scusate) sul self-publishing di LibrInnovando 2012, ieri pomeriggio all'Università di Tor Vergata (pensa te). Forse leggendolo in pubblico ho cambiato qualche parola. Anche questa volta, comunque, pensavamo di far la figura dei semplicioni, invece ci siam beccati un applauso che a raccontarlo si fa fatica. Cogliamo l'occasione per ringraziare un po' tutti. Ci siamo divertiti.]

Buonasera.
Si sente se parlo così?

Prima di cominciare vorremmo ringraziare l’organizzazione di LibrInnovando 2012 – fin qui ci è sembrato interessantissimo e ci scusiamo anticipatamente se questo nostro intervento imbolsirà tutta la questione; poi io ho questa cosa che non riesco a parlare a braccio e mi sono scritto tutto, spero che non vi disturbi, portate pazienza; avevo anche la stampante rotta e allora, scusate, ho messo tutto sul Kindle; e bisogna anche che vi confessi che questo intervento l’ho scritto insieme al mio socio carlo dulinizo, l’altro giorno, senza avere la benché minima idea di cos’avrebbero detto gli altri interventi di LibrInnovando e, insomma, se dico delle cose insensate o che son già state dette, portate pazienza anche qui – comunque, ringraziamo tutti e in particolar modo vorremmo ringraziare il nostro amico eFFe e Luisa Capelli, che ci tenevano così tanto che dicessimo qualcosa oggi da convincerci a venire qui, su questo pulpito, a parlare di questioni che, sinceramente, conosciamo poco.

Il nostro intervento si intitola Un nome nuovo per l’Imperatrice, ha per sottotitolo contro la minaccia del self-publishing e affronta questioni legate alla creazione e alla distribuzione degli ebook, e all’editoria digitale in generale, questioni per le quali abbiamo idee abbastanza confuse, tranne forse sulla prima, la creazione degli ebook, della quale qualcosa sappiamo.

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Intanto ci presentiamo (se parlo al plurale non è che son diventato matto, ma è perché, come dicevo, il discorso è stato scritto a quattro mani da me e dal mio socio carlo dulinizo). Io mi chiamo Marco Manicardi, faccio l’ingegnere e vivo a Carpi, in provincia di Modena; il mio socio si chiama Luca Zirondoli, anche se in rete si fa chiamare carlo dulinizo, fa il disoccupato e vive a Correggio, in provincia di Reggio Emilia. Insieme abbiamo fondato un blog vagamente letterario di nome Barabba e nel 2010, dopo il gran successo di un ebook collettivo e gratuito sulla Resistenza che abbiamo pubblicato sul blog e che s'intitolava Schegge di Liberazione, abbiamo fondato una casa editrice inesistente dal nome Barabba Edizioni, forse qualcuno di voi ne ha sentito parlare, forse no.

Barabba Edizioni è una casa editrice inesistente nel senso che non vende niente, non spende niente e non guadagna niente, anche se pubblica lo stesso dei libri. Libri elettronici, principalmente, e collettivi: uno era Schegge di Liberazione, appunto, nel 2010, e trattava della Resistenza, uno si chiama Cronache di una sorte annunciata e parla della sfiga, poi abbiamo pubblicato un altro Schegge di Liberazione, nel 2011, in tre volumi, e un libro sulle Cicatrici che ha anche avuto un discreto successo multimediatico, se mi passate il termine. E poi abbiamo pubblicato anche delle altre cose, ma non stiamo a dilungarci, è tutto in rete. In totale, comunque, a oggi, il nostro catalogo gratuito conta 12 ebook.

Poi, non contenti, abbiamo addirittura fondato una collana editoriale inesistente e che non pubblica niente dal nome Barabba Elettrolibri, dove ci limitiamo a convertire in ebook e a rendere disponibili in rete dei racconti o dei libri che autori che ci piacciono – tipo Gianni Solla o Azael, per fare due nomi – hanno messo a disposizione gratis in pdf sui loro siti. Glielo chiediamo, e li pubblichiamo ancor prima di leggerli, delle volte, questi libri, ché in pdf, scusate, ma si fa fatica. E quindi con Barabba Elettrolibri abbiamo pubblicato, a oggi, 8 ebook di autori diversi.

In tutto, tra Barabba Edizioni e Barabba Elettrolibri, sono 20 ebook pubblicati gratuitamente in rete in quasi due anni precisi. E a guardarli bene, questi 20 ebook, non è che siano poi così diversi, qualitativamente, da quelli che vengon venduti su Amazon, Bookrepublic, IBS, eccetera. Insomma, mica male per una casa editrice che non esiste.

Nel frattempo, son quasi due anni che insieme agli altri barabbisti, che son quelli che scrivono con noi su Barabba – prima eravamo solo in due, a scriverci, su Barabba, adesso siamo circa una decina – insieme agli altri barabbisti, dicevo, sono ormai due anni che giriamo l'Italia e un po' d'Europa a leggere questi ebook dal vivo a voce alta accompagnati da della musica. Soprattutto Schegge di Liberazione, quello sulla Resistenza, che è un argomento che, oltre a essere importante, si vede che la gente è interessata perché ci chiamano dappertutto. E tutto questo viavai di reading e di ebook è successo un po' per caso, che non ce l’aspettavamo. Talmente per caso che ci chiediamo sempre come mai veniamo chiamati in queste occasioni, diciamo, istituzionali a parlare di ebook, come sta succedendo adesso o come, ad esempio, è successo al Salone del Libro di Torino dell’anno scorso, dove son rimasti così contenti che ci han chiamato a dire delle cose anche quest’anno. Ma comunque, adesso siamo qua, a LibrInnovando 2012, e adesso arriviamo alle cose importanti del nostro discorso, portate pazienza ancora qualche minuto, in tutto ne abbiamo una decina, di minuti, e tre saran già passati...

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Quello che volevamo dire è che a noi, che veniamo da una provincia piatta dell’Emilia, e qualcuno anche dalla campagna, la situazione attuale, parlando di editoria digitale, ci fa venire in mente quegli alberi pieni di uccelli che quando arriva una schioppettata da lontano si alzano in volo alla rinfusa, per poi cercare di tornare appena possibile sul ramo dov’erano prima. Ecco, adesso, sempre parlando di editoria digitale, ci sembra che la schioppettata è ancora lì che risuona nell’aria, e gli uccelli son tutti alla rinfusa a chiedersi: cos’è successo? dove andiamo? come facciamo? E si creano occasioni come questa dove ognuno dice la sua in attesa, sembra, di poter tornare sul ramo dov’era prima.

Eh, cos’è successo? È successo che a un certo punto i mezzi per fare i libri, i mezzi di produzione, come si diceva una volta nell’era delle ideologie, non sono più esclusiva di pochi, cioè delle case editrici, ma sono a disposizione di gente, tipo noi, che una mattina si svegliano e si mettono a pubblicare degli ebook. E noi lo facciamo gratis, ma c’è anche chi li vende.

Forse avete presente quel bellissimo film, e anche il libro, ma più il film per quelli della mia generazione, che è La Storia Infinita, dove una nube tumultuosa erode sempre più velocemente Fantasya, il mondo creato dall’immaginazione della gente. Quella nube tumultuosa è chiamata, nel film, il Nulla e rappresenta la mancanza di immaginazione di chi ha smesso di sognare e di leggere i libri. Ora, se ci concedete un paragone azzardatissimo, quel Nulla, nel caso nostro – e anche un po’ e soprattutto nel caso vostro, e con vostro ci rivolgiamo alle case editrici esistenti, piccole, medie o grosse che siano – quel Nulla, dicevamo, nel caso vostro, non è tanto la mancanza di immaginazione o l’incapacità di sognare della gente che non legge i libri – che è un altro discorso e che non ci compete – quanto un Troppo, una mole senza forma, ma sempre tumultuosa, di informazioni e rumore, rappresentata dalla gran quantità di autoproduzioni, autopubblicazioni, eccetera, che erode sempre più velocemente la Fantasya dell’editoria. È un Troppo, questa mole, questa nube, che rischia di disorientare anche il lettore.

E dove andiamo?, si chiedono gli uccelli che svolazzano dopo la schioppettata. Proviamo a tornare sul ramo dov’eravamo prima, pensano le case editrici in volo disorientate alla rinfusa. Ed ecco comparire sistemi di protezione anti-pirateria come i DRM, e prezzi di vendita ingiustificabili rispetto all’editoria tradizionale e alla sua filiera che passava attraverso gli alberi e i boscaioli, la carta e i tipografi, i distributori e le librerie. Ma sembra tutto inutile, la nube del self-publishing avanza e s’insinua sempre di più nella Fantasya degli editori, tanto che noi, che pubblichiamo, nel nostro piccolo con un certo successo, degli ebook gratuiti, siamo un po’ come Gmorg, il lupo nero della Storia Infinita che aiuta l’avanzata del Nulla: non facciamo altro che alimentare il Troppo, anche se facendolo ci divertiamo come dei matti.

E allora come facciamo adesso?, si chiedono forse gli editori alla rinfusa, molti ancora convinti di poter tornare sul ramo dov’erano prima, quando vedono che senza carta non c’è più nemmeno l’albero su cui s’erano appollaiati. Come facciamo?, si chiedono gli editori, ora che il nostro monopolio è intaccato, ora che i mezzi di produzione dei libri sono così semplici e alla portata di tutti, ora che anche i mezzi per aggirare le protezioni inutili che ci sono sui libri sono in mano ai ragazzini, ora che leggere un libro senza pagarlo è facilissimo, ora che la nostra Fantasya, che già era ostacolata dal mercato, dalla mancanza di lettori e dalla trasformazione dei loro superstiti in consumatori, dalla crisi, dai governi e dalla Grecia, è minacciata dalle orde indipendenti del self-publishing. Come facciamo?, chiedono gli editori.

Come fate? Eh?

Non venite a chiederlo a noi, vi rispondiamo. Non lo sappiamo. Noi siamo solo una casa editrice inesistente, facciamo un po’ come ci pare. Ma noi siamo soprattutto lettori, e in quanto lettori siamo disorientati. Una volta c’eravate voi, editori, una volta tanto tempo fa, molto prima che il digitale diventasse cosa di tutti i giorni da tenere in tasca, molto molto prima, quando eravate voi a indicare una strada, a creare quel mondo dell’immaginazione in cui passavamo i nostri pomeriggi, nelle nostre camerette, a leggere le cose che pubblicavate. Adesso c’è il Troppo: il Troppo nelle pubblicazioni, nelle autopubblicazioni, nelle autoproduzioni; il Troppo nella critica, nelle recensioni, nelle segnalazioni in rete; il Troppo informe che avanza ed erode la vostra credibilità.

Non lo sappiamo, come fate e come farete. Non è affar nostro. Ma una cosa, secondo noi, bisogna che la facciate, perché non è solo il possesso dei mezzi di produzione a fare un libro, a fare i libri. Ci sono delle responsabilità sulla diffusione della cultura, sulla qualità delle pubblicazioni, sulla scelta tra ciò che ha valore e ciò che non lo ha, ci sono delle regole da gestire sull’equità dei compensi per chi lavora nella cultura del quartario, come lo definiva Bianciardi, e per quelli che troppo spesso vengono dimenticati in questi discorsi in cui gli editori e i lettori sembrano le sole forze che muovono e padroneggiano il mondo dell’immaginario, e sto parlando degli scrittori.

Non lo sappiamo, cosa farete per evitare che la vostra Fantasya venga disgregata fino all’ultimo granello. Certo non saranno delle protezioni informatiche o dei prezzi insensati a fermare la rovina morale ed economica che già ha distrutto altri settori della cultura. A differenza degli altri settori, però, la letteratura continuerà a vivere con o senza di voi, con o senza la carta, con o senza ciò che da qualche secolo, nemmeno tanti, in verità, chiamiamo libro. Quello che dovete fare è inventare un modo nuovo di fare editoria. Ricreare Fantasya dal Nulla. Quello che dovete fare è guardare in faccia il Troppo che avanza, cercare di capirlo e razionalizzarlo, rendervi conto che il Troppo sta parlando con voi, che siete già coinvolti. Allora dovreste alzarvi in piedi nella soffitta in cui state cercando di capire cosa succede, spalancare la finestra sul temporale che c’è là fuori, e urlare un nome nuovo per l’Imperatrice.

Grazie.
Abbiamo finito.

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Poi, io lo so che a braccio son poco pratico, e c'è della gente, dopo, ho scoperto, che si è lamentata della risposta che ho dato a una domanda, dove ho detto che per fare un ebook, siamo sinceri, ci vogliono due click. Ecco, a me sembrava di aver detto che per fare di un file di testo un ebook ci vogliono due click, che è vero. Per fare di un ebook un bel libro, invece, serve qualcosa che si chiama editore, qualunque cosa significhi o significherà editore. Poi però non sono sicuro, che io, parlare a braccio, son poco capace. Dicono che, comunque, nei prossimi giorni mettono tutti i filmati su Rai Edu Letteratura. Un po' mi vergogno.

giovedì 26 aprile 2012

Roma règgece er moccolo venerdì sera (e sabato pomeriggio)

Dunque, in questo preciso istante, col dottor carlo dulinizo sto scrivendo un discorso dal titolo "Un nome nuovo per l'Imperatrice (contro la minaccia del self-publishing)" dove si parla o si parlerà, crediamo, adesso lo dobbiamo ancora finire, de La Storia Infinita applicata al mercato editoriale digitale e di altre cose marxiste (o marxiane, non mi ricordo mai) citando, tra gli altri, anche Houellebecq, se capiamo come si pronuncia. Questo discorso importantissimo, lo leggiamo sabato 28 aprile all'Università di Tor Vergata, in un panel (che parolaccia) che ci vedrà combattere sul ring di LibrInnovando con gente di case editrici esistenti tipo Mondadori e :duepunti edizioni. C'è scritto tutto qui, in fondo alla pagina.

La sera prima, invece, se volete far tintinnare i vostri bicchieri coi nostri, gli Scrittori Precari hanno organizzato un reading collettivo su argomenti ancora secretati al Circolo dei Lettori "Arci Fortebraccio", in via Fanfulla, al Pigneto che ci piace tanto. Leggiamo delle cose anche noi barabbisti, insieme ai baldi giovini di Ledita e Setteperuno, accompagnati da Gianluca e le cose, che, come sapete, sono un po' roba nostra. È scritto tutto qui.

Se sei romano e non vieni, sarà perché emani un forte odore di carta.

martedì 24 aprile 2012

Scene da un autotrasporto: il ponte

Arriva in ufficio con una giacchettina tra lo sportivo e l'elegante. Avrà più o meno 30-35 anni. Chiede il cliente per il quale caricare, che è uno studio di decori che parcheggia qui la roba. Si carica da solo, dice. Un carrellista gli apre la paletta di fianco al camion e lui si carica una quindicina di pannelli a mano. Uno alla volta, non son neanche pesanti, ma tutti a mano. Li carica con una certa premura, poi viene a fare la bolla e la firma. A quel punto saluta dicendo "Buon PONTE per domani".

Gli rispondo che noi non facciamo il ponte, teniamo aperto il 26 e il 27.

Lui rimane inebetito per un secondo e poi dice "Ma domani non chiudete?" e io gli rispondo di sì, domani chiudiamo, ma non facciamo il ponte.

Lo sguardo si incupisce ancor di più, torna a ripetere "Sì, però domani avete chiuso..." e io gli dico che domani siamo chiusi, ma non si tratta del ponte. Siamo chiusi soltanto domani. Al suo sguardo ormai nel panico dico "Domani è festa. È festa per tutti, domani. È festa nazionale, domani" e lui mi dice "Sì, domani son tutti chiusi, lo so".

Lo sguardo interrogativo adesso è il mio. Non riesco a trattenermi e chiedo "Lo sai che festa è domani, vero?" e lui balbetta un attimo. A quel punto gli dico "Domani è la Liberazione. La liberazione del nazifascismo, la fine della seconda guerra mondiale".

Ora lo sguardo è interrogativo sulle facce di entrambi. Lui svapora in una nuvola e dice "Ah, credevo fosse IL PONTE. Bè, vabbè, ciao." E se ne va, come un Super Tele calciato su una spiaggia ventosa.

Buon 25 Aprile.

lunedì 23 aprile 2012

Biografie essenziali (138)

William Shakespeare durante i cosiddetti anni perduti (1585-1592) ha provato a imparare a memoria una barzelletta che cominciava così: "Allora, c'eravamo io, Miguel de Cervantes e Garcelasco... Garcilasso... Garibozzo... Garilazzo... come cavolo si chiama quello?" (Buona giornata del Libro)

Un nome nuovo per l'Imperatrice

È il titolo di un discorso (sottotitolo: contro la minaccia del self-publishing) che faremo in forma ridotta (dieci minuti scarsi) all'Università di Tor Vergata sabato 28 aprile, per Librinnovando 2012, e in forma più estesa e intersecata da un reading (un'ora circa) al Salone internazionale del Libro di Torino, dove incoscientemente siamo stati invitati di nuovo da quei temerari avanguardisti di Bookrepublic. Speriamo di far bene, come si suol dire.

giovedì 19 aprile 2012

Un'altra intervista

Marta Traverso di Ledita.it (un sito che ha a che fare con LibrInnovando 2012 e che organizza le cose che andiamo a fare a Roma la prossima settimana) qualche ora fa mi ha fatto delle domande e io le ho risposto al volo. Trovate tutto qui.

Neverending tour: addendum aprile 2012

All'ultimo minuto, aggiungiamo due appuntamenti barabbisti che si terranno domani:

Venerdì 20 aprile
Se siete a Milano, al Balakobako, se si scrive così, c'è osvaldo, cioè l'elena, che legge croccantissima di simone rossi, con simonerossi e Bicio che strimpellano come loro solito.
Se invece siete a Correggio, in piazza, ci sono il dottor carlo dulinizo e la Betty Vezzani (che forse alcuni di voi, una paio d'anni fa, hanno visto sul palco insieme ai Modena City Ramblers) che presentano le Schegge di Liberazione all'European Resistance Assembly in un orario un po' barbino dalle tra le 16 e le 17.

Poi siamo tutti a Busto Arsizio, sabato 21, a fare le Schegge di Liberazione. E il 22 all'OFF di Modena con il Coro delle Mondine di Novi di Modena, e il 25 (cioè Natale) all'Antica Pescheria di Rimini, sempre con le Mondine. E ancora, a Roma il 27 al Fanfulla per un reading di cui vi diciamo più avanti e il 28 all'università di Tor Vergata per LibrInnovando. Ma lo sapevate già. Poi non dite che non veniamo mai dalle vostre parti.

Dopo c'è maggio. Ci saranno delle cose anche in maggio.

mercoledì 18 aprile 2012

Biografie essenziali (137)

Albert Einstein, gli attribuiscono così tante frasi che nella vita non dev’essere stato zitto un minuto.

(di Cristiano Micucci "Mix")

lunedì 16 aprile 2012

E far l'amore anche se il mondo muore: un ebook

«Sai, mia cara, che non siamo distanti l’uno dall’altra? Se una mattina tu uscissi da Terezin e ti dirigessi a nord, e io da Bautzen venissi verso sud, la sera ci si potrebbe incontrare. Andremmo di corsa, no?»
(Jula, Cecoslovacchia ― Museo Monumento al Deportato, Sala 6)
E far l'amore anche se il mondo muore è la raccolta delle quattro letture che abbiamo fatto il 15 aprile 2012 (ieri) nelle stanze del Museo Monumento al Deportato di Carpi (MO). In appendice, invece, ci abbiamo messo una specie di resoconto del viaggio che due di noi hanno intrapreso sul Treno della Memoria 2012, da Carpi ad Auschwitz e ritorno.

E far l'amore anche se il mondo muore è stato stampato in trentatré copie pinzate a mano e distribuito il giorno delle letture (ieri) a chi è venuto a sentirci. Da oggi, però, potete scaricarlo gratuitamente in ebook: in pdf (se volete fare in casa la vostra copia di carta), in epub e in mobi (se avete i cosi per leggere i libri elettrici).

E far l'amore anche se il mondo muore ieri è venuto così bene, dal vivo, che può anche darsi che ci venga voglia di rifarlo. Intanto, buona lettura.

domenica 15 aprile 2012

Penso che sia da selvaggi fare all’amore nudi

«Hitler è un tipo un po’ strambo e non sarà mai Cancelliere: potrebbe diventare al massimo Ministro delle Poste.» Il Presidente tedesco Paul von Hindeburg nel 1931. Neanche due anni dopo Hitler verrà nominato Cancelliere, prendendo di fatto il potere assoluto. Paul inizierà a collezionare francobolli. L’Europa, milioni di morti.

«Perché? avete i negri anche voi?» George W. Bush, citato dal Der Spiegel, durante un incontro ufficiale con il presidente del Brasile Fernando Cardoso, sociologo e scrittore.

«Oggi niente di nuovo.» Annotazione di Luigi XVI nel suo diario: 14 luglio 1789. Il giorno della Presa della Bastiglia, inizio della Rivoluzione Francese. Una delle cinque date della storia che occorrerebbe imparare a memoria e che Luigi avrebbe voluto dimenticare.

«La band è OK. Ma liberatevi di quel cantante con i labbroni.» Andrew Loog Oldham, produttore della BBC dopo un’audizione dei Rolling Stones, 1963. Il cantante con i labbroni era Mick Jagger.

«Il cinema è solo una moda passeggera. È il dramma in lattina. Non illudetevi. Il pubblico vuole vedere storie di carne e sangue rappresentate in palcoscenico.» Charlie Chaplin.

«Quattro scimmie che urlano non useranno mai, senza permesso, l'onorato nome di famiglia.» Baronessa Frau Eva von Zeppelin.

«Aha! È impensabile che il dottor Berlusconi entri in politica. Deve occuparsi dei suoi debiti. Stia fermo, tanto prenderebbe pochi voti. Non siamo mica in Brasile.» Massimo D'Alema, 1983.

«La ragazza mi pare non possieda quella percezione speciale dei sentimenti che solleverebbe di poco questo libro dal puro livello di curiosità.» Scheda editoriale de “Il Diario di Anna Frank”. Una volta pubblicato, sarà tradotto in 55 lingue.

«Penso che sia da selvaggi fare all’amore nudi.» Sharon Stone.

«Un ignorante sesquipedale, un mostriciattolo prodotto di un'avventura di analfabeti... una sogliola da schiacciare... una teppa... un bugiardo, un buffone... un arabo mentitore, un levantino con il gusto della menzogna... uno che potrebbe finire in galera... un pugile suonato... un pazzo... un botolo ringhioso... un topo chiuso in una scatola, che batte la testa da tutte le parti cercando un buco, ma da tutte le parti c'è una tagliola.» Gianfranco Miglio, co-fondatore e ideologo della Lega, su Umberto Bossi, suo amico.

«La libertà di critica è totale in URSS.» Jean-Paul Sartre, filosofo, su "Liberation", 1954.

«È chiaro che non ci sarà nessuna riunificazione della Germania in questo secolo.» Flora Lewis, corrispondente per gli affari esteri dalla sua rubrica sul New York Times, 1984. Un mestiere, come abbiamo capito, che potrebbe fare chiunque scrivendo reportage dal tinello della propria cucina.

«Ormai Mickey Mouse non interessa più a nessuno. Penso che dovremo eliminarlo.» Roy O. Disney, fratello di Walt, 1937, pericoloso topicida.

«A chi diavolo vuoi che interessi sentir parlare gli attori?» Hirsch Eichelbaum Warner, Co-fondatore della Warner Brothers, 1927 commentando la nuova invenzione del cinema sonoro.

«Questa roba non sarà musica neanche nel trentesimo secolo.» Frank Sinatra dopo aver ascoltato un disco rock di Billy Idol.

«Questo virus è un gattino innocuo.» Dr. Peter Duesberg, professore di biologia molecolare alla University of California, Berkeley, commentando la scoperta del virus dell'HIV, nel 1988. Tra il 1980 e il 2010 l’Aids ha ucciso, solo in Africa, venticinque milioni di persone.

«Non credo che abbiamo commesso qualcosa di sbagliato nel portargli via questo grande paese. C’era così tanta gente che aveva bisogno di nuova terra e gli indiani erano egoisti se volevano tenerla tutta per sé.» John Wayne.

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Questa è una specie di introduzione scritta dal prode carlo dulinizo per una cosa che potete sentire dal vivo oggi, alle 17, al Museo Monumento al Deportato di Carpi, mentre facciamo l'amore anche se il mondo muore. Vestìti.

sabato 14 aprile 2012

E far l'amore anche se il mondo muore: di carta e voce domani, d'elettroni lunedì

Volevamo farne un centinaio di copie, invece sono solo trentatré (che, barabbisticamente parlando, è anche un bel numero), perché ci è finita la carta. Ma si tratta poi di trentatré fascicoletti fotocopiati e pinzati a mano, giusto un ricordo da portarsi a casa per chi verrà domani a sentirci far l'amore anche se il mondo muore, alle 17 abbastanza puntuali, presso il Museo Monumento al Deportato di Carpi (anche in caso di maltempo, tanto siamo al chiuso nelle stanze del museo).

Lunedì, invece, lo facciamo uscire in ebook, in tutti i formati che volete, infinitamente downloadabile gratis, liberamente condivisibile, come nostro solito. Secondo noi è bello.

venerdì 13 aprile 2012

Qualcuno senza ali

Quando dalla Sicilia sono salita a Carpi era il millenovecentoquarantatre, non avevo ancora sedici anni e avevo un lasciapassare che diceva che potevo frequentare la prima magistrale superiore. Il sistema allora era tutto diverso. Mia madre, rimasta vedova e senza più lavoro aveva deciso di salire tutta l’Italia con me e mia sorella maggiore e di venire a stare qua. Ancora adesso mi chiedo come ha fatto una donna di quasi cinquant’anni in un paese in guerra, senza saper leggere e scrivere, a portarci fin quassù.

Ci siamo arrivate col treno, anche se avevamo tanti bagagli e dovevamo spesso scendere e salire dai treni per paura dei bombardamenti. Io non avevo mai viaggiato prima, a parte qualche giornata a Messina in compagnia del babbo. Si può dire che l’Italia quella volta dal finestrino l’ho vista quasi tutta. L’ho pure toccata coi piedi ad ogni sosta e a volte, quando scampavamo ai bombardamenti, anche baciata. Erano i miei primi baci a qualcuno che non fosse di famiglia e son contenta di averli dati ai posti che mi han salvato la vita.

Una volta dopo un allarme stavo per salire in un vagone chiuso che dalle fessure lasciava vedere delle ombre ma mia sorella che mi aveva tenuto d’occhio ha urlato: “Dove vai? Non vedi che è chiuso?” – “ma c’è qualcuno lì dentro!” - “Qualcuno? Al massimo qualcosa! Ehh!!! Domenica Aliquò, cominci a fare gli scherzi col tuo cognome adesso?” - e anche se non l’avevo capita l’ho seguita lo stesso verso la carrozza dove la mamma ci aspettava. Durante il viaggio mi ha spiegato un po’ di latino e quella regola che si ripete sempre: quando aliquis, che significa qualcuno o qualcosa d’indefinito, è preceduto da si o nisi, cioè se e se non, perde le ali, perché accompagna un evento possibile e rimane solo quis. Erano viaggi lunghi a quei tempi, erano ancora più lunghi per via dei bombardamenti, mettici pure le lezioni di latino, non arrivavamo più.

Abbiamo capito di essere vicine all’arrivo quando abbiamo smesso di vedere qualcosa oltre alla pianura piatta in fondo all’orizzonte. Giusto in tempo per rimandare la costruzione della perifrastica passiva. Poi è salita la nebbia, che non avevamo mai visto, almeno io. Arrivata la sera sembrava di entrare in un mondo fantasma. Un mondo di fantasmi tutti gentili, per fortuna.
Era marzo quando ci eravamo sistemate, e anche se potevo comunque andare a scuola, all’istituto superiore, avevo come paltò solo la mantella da piccola italiana e mi sembrava che andare a scuola con intorno le altre ragazze delle famiglie bene di Carpi... non mi sarei trovata bene. E poi il magistrale era solo a Modena, per andarci c’era la corriera ma era privata, a pagamento oppure il treno ma ci volevano dei soldi e noi avevamo solo il sussidio da sfollati. Quindi non è che potevo dire e fare.

Allora ho promesso a mia madre che dopo la guerra avrei ripreso a studiare, e in quel periodo c’era una legge fascista, quella delle madrine di guerra e uno poteva andare a lavorare o a far qualcosa per la patria, una specie di volontariato, diciamo così. Quindi sono andata alla stazione di Carpi e ho fatto domanda per essere assunta in biglietteria. Quando mi sono presentata in stazione mi hanno chiesto da dove venivo e io “Carpi” ho risposto, ma con la C in gola, come si diceva giù, e allora mi hanno chiesto di nuovo “Da dove?” e io dico “Garpi, Garpi con la Gi, Gi di Gane”. E tutti son scoppiati a ridere.

Così la stazione di Carpi mi ha scelto e sono andata a Mantova, un mese, a imparare a fare i biglietti. E la prima volta che sono arrivata alla stazione di Mantova, era la fine di Aprile e c’erano già stati i primi giorni di sole, m’ero distratta a preparare i fogli che dovevo consegnare a quelli di Mantova per cominciare ad imparare e ho guardato fuori quando ormai stavamo arrivando e mi sono abbagliata, perché non m’aspettavo luce guardando in basso e non sapevo che lì c’era un lago, più azzurro del cielo, più grande del respiro, e per un attimo mi è sembrato il paradiso.

Fino a che il mese non è finito e allora toccava a me fare i biglietti per la stazione di Carpi. Intanto mia sorella aveva già trovato lavoro da operaia nell’unica industria meccanica di Carpi allora e in mezzo a tutti quei lavoratori, aveva deciso di diventare socialista. A sentir lei i comunisti erano pericolosi quasi come i nazisti e il patto del trentanove tra Hitler e Stalin ne era la prova. Credeva molto nella democrazia, nel potere del popolo di scegliere e soprattutto nelle donne.
Che bisognava far qualcosa dice di averlo deciso quando una sera, alle cinque e mezza, proprio all’ora dell’uscita degli operai dalla fabbrica, lì dalla via della catena, la via sotto il portico a metà della piazza grande, i fascisti avevano appeso un morto al catenaccio che blocca il passaggio alle macchine, con le gambe stese per terra, le braccia sulla catena come un cristo e un cartello con su scritto: così muore un traditore. Dice che, quando ha visto la madre del morto e la moglie incinta piangerlo, ha capito che doveva fare qualcosa.

Io ancora certe cose non le volevo capire, perché facevano paura, e facevan preoccupare la mamma e allora continuavo a fare i biglietti e cercavo di fare bene quello che dovevo fare. Poi un giorno ho visto lui, che tornava dalla licenza, tutto bello in divisa militare, con quel viso allungato, quei capelli color del fieno a Maggio. Aveva una faccia un po’ mogia ma mi è bastato dirgli “Dai che torni presto!” di qua dal vetro per vederlo sorridere. Ed è lì che, come si dice qua, mi ha fatto su. Io non ero mai stata innamorata, e dire che ero carina, e molto. Me lo dicevano tutti, e quando quelli del bar centrale, dopo avermi detto per filo e per segno tutto quel che sapevano sul mio innamorato, mi chiedevano cosa ci trovavo mai in lui, io dicevo solo “C’ha un sorriso…

Manco a farlo apposta, dopo neanche un mese, arriva l’Armistizio, 8 settembre, tutti a casa, e ci sembra che la guerra è finita, pace fatta e io comincio ad aspettare il mio bel Romeo. Mia madre non vuole che torni al lavoro, insiste e insiste, mi fa una testa così. Così un giorno, di punto in bianco, resto a casa, senza avvertire nessuno. E nessuno mi viene a cercare. Nessuno. Alla sera mia sorella mi dice che sono arrivati i tedeschi in stazione e che nessuno può più starci.

Passano i giorni, e io resto chiusa in casa, sola, con mia mamma che mi dice di avere pazienza ma io... figurati se a quell’età riesci a stare ferma, volevo andare, chiedere, informarmi! Mia sorella alla sera, dopo che ha allontanato la mamma con la scusa di aver lasciato al vicino le sue chiavi, mi dice che Lui è qui, è tornato, è stata lunga a piedi, ma è tornato, è in banda tra i partigiani e che volendo, se non lo dico a nessuno, in primis alla mamma, può organizzarmi un rendez vous. Non sono mai stata più rossa in vita mia, roba da far impallidire le rape, altroché! Ma comunque voglio dargli il benvenuto e propongo di trovarci domani nel piccolo prato tra la tratta ferroviaria e il villino d’Agostino, a Cibeno, fuori Carpi, ma non così tanto da sembrar sospetti.

La sera dopo alla cantina, anche se è già buio, continuano ad entrare rimorchi pieni d’uva per il lambrusco di quest’anno. La nebbia è già salita, mi sembra di camminare sulle nuvole e il pensiero di essere soli e non visti mi fa arrossire forse più di ieri.
Arrivo e lui è già lì.
Il cuore mi dà più colpi dei bombardamenti.
Non riesco ad aprire bocca. Lui nemmeno, sembra.
A un suo cenno di saluto rispondo anch’io col braccio, poi vedo che sta indicando il treno che passa di fianco a noi. È un treno merci che sfila lentamente, silenzioso, senza fretta. Dalle finestre del villino le luci si appoggiano, un po’ storte, sbilenche, sui vagoni. In ogni vagone, nell’angolo in alto a destra, c’è un buco grande come una scatola da scarpe.
Per un attimo mi sembra di vedere qualcosa o qualcuno muoversi dentro.
Qualcuno senza ali.

giovedì 12 aprile 2012

Hai sentito?

«Come fai a dire che non senti niente?»
«Non sento niente, Vale’. Che c’è? Dimmi che c’è. Vuoi uscire? Non mi vuoi più?»
«No, non è questo, è il posto, questo stanzino, è che io sento i rumori dalla finestrella.»
«Preferisci il bagno?»
«No.»
«La palestra?»
«No, sono tutti in palestra, ci sentono.»
Mi accarezza la guancia: lo fa sempre quando sono agitata e non voglio baciarlo.
Non è che io non voglia, in realtà, è solo che quella maledetta finestrella tonda con le sbarre mi mangia le parole e fa rumorini insidiosi, fastidiosi, e sembro matta, lo so, perché da fuori non si sentono, ma da qua sì, lo giuro: forse si spargono sul vetro, sullo sporco della parte superiore della finestra del corridoio, non lo so, ma quando sto qui dentro me li ritrovo in faccia e io non posso non sentirli. Sarà colpa di Valeria.
«Vale’, dimmi che vuoi fare. Ci ho messo due pomeriggi a fregare le chiavi a mio padre.»
«Lo so, scusa, cioè, non lo so, non mi piace questo posto. Poi mi gratto. Sarà la polvere.»
«Ma se ci veniamo sempre.»
«E allora? Oggi va così, oggi sento i rumori.»
«Ma quali rumori?»
«Ma tu davvero non senti niente?»
«Mio padre me lo dice sempre che tu sei un po’ matta.»
La finestra alta sta nella stessa posizione da quando la nostra scuola non era ancora una scuola, ha gli infissi vecchi e una moncatura sulla sinistra, come se le avessero amputato un braccio; è sempre sporca nella parte in alto, nessuno riesce a pulirla, nemmeno il custode, basso e tozzo.
Quella finestra, non lo sa nessuno, si completa nel muro, coltiva vermi nelle intercapedini. Accanto, una porta sempre chiusa a chiave in tre punti; le mandate serrano il segreto di ogni custode da allora a oggi.

***

Quasi sempre apriva, sbirciava, poi richiudeva; non aveva mai voglia di capire fino in fondo, lui, né di pensare al perché le sedie fossero marce, impagliate male. Le guardava da lontano, scacciava la curiosità di sapere come se fosse stata una mosca troppo vicina ai fichi. Le poche volte in cui accendeva la luce, gli dava fastidio perfino passarci dentro, a quella stanza: di colpo, le linee diventavano oggetti, le crepe dei muri disegnavano sgorbi, i colori erano torvi, l’occhio era costretto a registrare tutte le forme che gli apparivano dinnanzi, e allora lui faceva quello che doveva, pulire o cercare un arnese, in fretta, e, se urtava contro la gamba di una sedia o uno stipite, si puliva il pantalone all'altezza del polpaccio, strofinando forte, come se lo avesse leccato un cane con la rogna o se avesse inciampato in un cadavere: sulla soglia faceva sempre una
smorfia di disgusto tappandosi le narici.

***

«Che brutta finestra, è sporca.»
Anna guarda verso la curva che scendeva al paese vecchio, affacciata alla finestra, con una scopa in mano.
«Che fai qua? Non hai da lavorare?»
«Scorbutico.»
«Anna, via, sciò, questo non è posto per te.»
«Ah, no?»
«No, tu sei una ficcanaso.»
«E tu non sai pulire! Guarda là che schifo!»
«E che me ne frega a me. Provaci tu, se sei tanto brava a pulirla fino a là, io sulla scala alta non ci salgo: queste qua sono tutte matte e come minimo mi fanno cadere. Le vedi che occhi che hanno?»
«Hai paura delle femmine. Hai-paura-delle-femmine. Sei proprio un fifone. Comunque, qua pare tagliata.»
«È stata murata, si dice così. Anni fa. tanti. Ma mo’ che vuoi da me? Non tieni niente da fare?»
«Uff, vado a pulire.»
«Ecco, brava, impicciona che non sei altro.»
«Vedi che ci stava tuo figlio prima, qua.»
«Ah.»
«Eh.»
«E che voleva?»
«Che ne so, però doveva stare in classe, o no?»
«Quel disgraziato!»
«Che hai?»
«Lo sapevo! Lo sapevo!»
«Cosa?
«Quel disgraziato!»
Inveisce contro un cassetto scassinato del suo tavolo, dove conserva le chiavi e i documenti importanti che passano dalla portineria e poi vanno smistati in Presidenza.
«Si può sapere che è successo?»
«Non sono affari tuoi, Anna. Via, sciò.»
«Che modi! Maleducato che non sei altro!»

***

«Adesso come faccio?», pensava. «Adesso se lo sa qualcuno, se li scopre qualcuno, lui e quella matta, io che faccio? Madonna, Madonna, io lo ammazzo; mi ammazzano, questi mi ammazzano. Ah, ma lo ammazzo io prima», continuava, sbattendo il pugno sul tavolo. Sotto la finestra, un gruppetto di soldati marciava e i vetri tremavano.
«Papà, dov'è?»
«Ah, proprio tu! Dove sei stato?»
«Non lo vuoi sapere.»
«Maledetto! Ti dovevano ammazzare a te!»
«Papà, ho poco tempo e non lo voglio perdere con te: dov’è?»
«Non c'è.»
«Non è vero che non c'è, l'ho vista prima da sotto.»
«Da sotto? Ma sei matto? Ci sono i soldati. Quante volte ti ho detto di non ronzare qua attorno, che sei segnalato e sei stato fortunato una volta che non ti hanno fatto niente.»
«Ho solo un dolore cane sul braccio e sul fianco, ma no, papà, non mi hanno fatto niente, certo che no. Gli amici tuoi.»
«Abbassa la voce, stupido.»
«Domani me ne vado, papà. E voglio salutare Valeria.»
«E dove te ne vai?»
«Non te lo dico, non mi posso fidare di nessuno, lo dicono anche i miei compagni. Stasera a casa non mi ci ritrovi.»
«Vattene, va’, vai dagli amici tuoi.»
«Valeria, papà: dimmi dove sta.»
«No. Disgraziato. Ti dovevo menare prima io a te. E anzi, sai che c’è? Meno male che te ne vai, così non sei più un mio problema. Voglio vedere come ti trattano gli amici tuoi, se ti proteggono come ho fatto io.»
«Valeria, papà, la voglio solo salutare.»
«Sta in camera sua. Bussa, non entrare subito. Se c’è qualcuno, non entrare. Se non ti sente, non entrare, vuol dire che dorme.»
«Dorme? Di pomeriggio? Che le avete fatto, papà?»
«Io niente, stupido, sbrigati: tra dieci minuti cominciano i controlli.»
«Tu niente? Che vuol dire? Che le hanno fatto?»
«È l’ultima volta questa: guardami negli occhi. Ho detto che è l’ultima volta.»

***

Ecco cosa c'è.
I vermi ci avrebbero preso, si sarebbero messi sotto la pelle a rodere con soddisfazione, io non ce la faccio a baciarlo sapendo che il buio non è davvero buio ma solo oscurato, incastrato dentro un infisso. L’ombra ci fissa, di notte le spuntano gli occhi della fame.
Ci lasciavano per ore a terra o ci guardavano soltanto, senza darci nemmeno dell’acqua, e ci chiamavano pazze, tutte pazze, non donne, né mogli, né prigioniere politiche, l’iride di quello più grosso era più scura del solito, il bianco attorno sembrava il colore del lenzuolo intriso di ammoniaca dei nostri letti.
Dovevamo dire chi ci veniva a trovare, perché: tutto segnato, alla mattina e alla sera. Ma io non dicevo mai tutto e, quando finivo di fare l’elenco, l’ultimo nome lo mordevo insieme alla lingua, per evitare che mi uscisse.
«Non siete recluse, siete ospiti: non si lasciano le donne sole in casa senza cura. Che mariti vi siete scelte?»
E quella parola, cura, detta con la lingua sottile e biforcuta che sibilava, come la prima volta in cui mi hanno tolto i fogli, poi l’inchiostro, poi i vestiti, e a me non importava tanto dei vestiti o della carta, quanto della dignità che avrei perso, dicendo “sono pazza” o “non sono figlia di mio padre”.
Rimanere da sola, a morire di paura o senza vestiti addosso, non importava. Ci chiedevano le cose a muso duro, ci facevano sedere e ce le domandavano lentamente e a voce alta, come se fossimo davvero sorde e pazze, ci chiedevano chi avesse scritto cosa, quando, per chi, perché, il significato delle parole che usavamo ― forza, dignità, libertà ― e noi barattavamo la vita dicendo: “non lo so, sono pazza”.
«Vale’, la smetti di agitarti? Tra un po’ finisce l’ora.»
«Senti, oggi non è cosa, torniamo in classe, dammi i jeans per piacere, riporta le chiavi a tuo padre.»
«Tu non mi vuoi più.»
«Non essere ridicolo, non è questo.»
«Allora baciami, Vale’.»
«Dopo, fuori. Usciamo da qua, mi manca l’aria, dammi la maglietta.»
Sul corridoio passa la luce e, se abbasso lo sguardo, perché un po’ mi vergogno, un po’ mi dispiace farlo arrabbiare, lui mi prende la mano lo stesso, davanti alla terza B, e io finalmente sento scandite quelle parole che rimanevano mangiate dai vermi nell’infisso e le ripeto.
«Che dici, Vale’? Non capisco.»

Ti tengo nascosta, Valeria, murata come l'infisso; non ti faccio guardare da nessuno: te lo prometto. Mi chiudo gli occhi anche io, se vuoi, quando ridi e quando piangi, non ti tolgo nemmeno i vestiti. Ti prometto che finirà tutto poi torneremo indietro; facciamo finire tutto, Vale’, e tu sarai orgogliosa di me.

martedì 10 aprile 2012

E far l'amore anche se il mondo muore

Come avevamo già detto, domenica 15 aprile, al Museo Monumento al Deportato di Carpi, verso le 17 abbastanza puntuali, leggiamo delle cose nuove e scritte apposta per un percorso che attraversa le tredici stanze del museo e che abbiamo intitolato: E far l'amore anche se il mondo muore.

Ecco, le letture che faremo le abbiamo raccolte in un libretto, che se venite domenica a sentirci potete portarvelo a casa di carta; se invece non riuscite a venire, anche se è un peccato, mettiamo i racconti in un ebook che uscirà, molto probabilmente, lunedì mattina da queste parti.

I racconti e le letture sono di osvaldo, carlo dulinizo, il sottoscritto e simone rossi (che però non legge). Dal vivo ci accompagneranno i contrabbassi di Bicio, i chitarrini e i clarinetti di simone rossi (che però suona), il pianoforte di Alessandro De Nito. Qui c'è una specie di teaser della copertina gentilmente concessaci dal prode Francesco Farabegoli.

Se domenica venite, secondo me, fate un bel lavoro.

lunedì 9 aprile 2012

Abuso di Auguri

Sabato pomeriggio, uscendo dalla piscina, nell'ingresso ho salutato la signora alla biglietteria con un sonoro e spontaneo - "Auguri!" - al quale lei ha ricambiato con un sorridente - "Anche a te!" - e mentre spingevo il maniglione antipanico della porta a vetri ero già lì a dirmi in testa: ma vale anche per me?
Che senso ha fare gli auguri se non credi nelle festività che gli altri si prestano ad onorare?
Valgono lo stesso?
Valgono di meno? valgono di più?
Stavo quasi pensando di tornare indietro e dire alla signora - "Senta, si riprenda il suo Anche a te! di poco fa, non vale lo scambio col mio Auguri, sa, io sono un miscredente, uno che in queste cose crede poco o niente e i miei auguri sono roba da poco.
Insomma, noi già godiamo di due giorni di riposo garantito, di feste, gite, visite, pranzi, cene, brindisi e cordialità diffusa. Oltretutto senza lo stucchevole senso di buonismo appiccicaticcio del Natale, dove si vede che si sforzano di più.
A noi, a quelli come me, che non fanno niente per questi giorni, che non pregano per la risurrezione, che non credono nella trinità, che non donano niente e non tifano per nessun dio, due giorni così sono puro relax.
A noi, a quelli come me, tutto questo basta e avanza.
Figuratevi che l'altro giorno mi ero sinceramente e coscienziosamente rivolto al buddismo con la speranza di riparare grazie al samsara, nelle prossime vite, gli errori che ormai in 32 anni di vita so di aver fatto fino ad ora. Perché gli errori, non sempre, ma molto spesso, li devi scoprire da solo, e ci metti tempo a capire dove e quando, a volte. E quindi prima di riuscire a riparare a un errore, piuttosto che metterlo a posto a mesi o anni di distanza, ti vien da dire che aspetti un altro giro di ruota, il prossimo giro, se ci sarà.
E poi francamente non sapremmo esattamente che personaggi metterci per le feste.
Perché lavorare sempre, solo perché non si crede in niente, non ci pare carino.
Come quando a scuola non volevi fare educazione religiosa che aveva sempre il sottinteso di cattolica dopo educazione al posto di religiosa e allora ti affibbiavano più compiti di matematica o d'inglese, anche se ho letto gran bei libri in quelle ore lì. Le biblioteche delle scuole superiori, se le andate a ritrovare e se non sono state carbonizzate o messe all'asta dalla Gelmini, vi riserveranno sempre delle belle sorprese. Ricordo ancora i ritratti di Mazzini, Silvio Pellico, Gramsci, Walter Scott e Tolstoj in mezzo a file di manuali di chimica, ecologia e pedologia.
Dicevo: non sapremmo davvero mettere tutti d'accordo su chi festeggiare.
Personalmente metterei Sandro Pertini, Garibaldi, Galileo, Giordano Bruno, (basta con la G.), Dante, Marconi quello della radio, William Blake, gente così .
Ma so già che non andrebbe bene a tutti tutti tutti.
Quindi, in mancanza di meglio, vi lasciamo festeggiare uno che, stando a sentire un po' di gente che era presente all'epoca, sarebbe risorto duemila anni fa circa e ci scambiamo gli auguri.
Ripensandoci però gli auguri son belli.
A me, anche se te mi stai augurando una buona risurrezione e una rinnovata fede nell'aldilà, questa cosa che ti sto augurando una buona vita e un po' di felicità a te e ai tuoi cari, fa stare bene. E penso anche che una cosa così, come augurare una buona vita ad altri esseri viventi, umani e non, sia troppo bella per lasciarla a dei giorni segnati in rosso sul calendario e che ne farò uso più spesso.

sabato 7 aprile 2012

Sarebbe stato molto bello

Una delle donne aveva incominciato a discorrere di quello che era stato crocifisso al posto di Barabba; essa lo aveva veduto una volta, mentre passava, e la gente aveva detto che era un dottore il quale andava intorno e profetizzava e faceva miracoli. In questo non c'era nulla di male, perché tanti altri facevano lo stesso; perciò, da quel che si poteva capire, il motivo per il quale era stato crocifisso doveva essere un altro. Era un tipo magro; tutto ciò che ricordava di lui era soltanto questo. Un'altra disse che lei non lo aveva mai visto, ma aveva udito che egli avrebbe predetto che il Tempio sarebbe crollato, che Gerusalemme sarebbe stata distrutta da un terremoto e che poi il cielo e la terra si sarebbero incendiati. Cose non da senno, e non c'era da stupire che per questo fosse stato crocifisso. Ma la terza donna disse che quell'uomo frequentava specialmente i poveri e soleva promettere loro che sarebbero entrati nel regno di Dio, e financo alle prostitute lo aveva promesso. All'udire questo tutti risero molto, ma trovarono che se fosse davvero andata così, sarebbe stato molto bello.
Barabba stava ad ascoltarli, ed era meno trasognato di quel che non si sarebbe detto, sebbene certo non ridesse. Si scosse quando la grassona gli buttò un'altra volta le braccia al collo dicendogli che a lei non poteva interessare chi fosse quell'altro, e che, ad ogni buon conto, era morto. Era lui, in ogni modo, ad essere stato crocifisso, e non Barabba, e questo era ciò che importava.

(Pär Lagerkvist, Barabba, Gherardo Casini Editore, 1951, cap. II)

venerdì 6 aprile 2012

Un'intervista (prima parte)

Giuliana Dea di Starbooks Coffee, un sito molto bello con tanti libri da scaricare e diverse chiacchiere intorno alla letteratura, mi ha fatto delle domande e io ho provato a rispondere.

Trovate qui la prima parte (di tre, credo) dell'intervista: Barabba: l’editore inesistente – 1° parte.

martedì 3 aprile 2012

Neverending tour: aprile 2012

Aprile, per noialtri barabbisti, è il mese in cui si festeggia il Natale. Allora facciamo delle cose, alcune vecchie, alcune nuove:

Domenica 15 aprile
Al Museo Monumento al Deportato di Carpi, che se non ci siete mai stati non avete idea di che posto incredibile sia, verso le 17, abbastanza puntuali, leggiamo dei pezzi nuovi in un percorso che attraversa le tredici stanze del museo e che abbiamo intitolato: E far l'amore anche se il mondo muore. Forse poi raccogliamo tutto in un libretto di carta che distribuiremo gratuitamente sul posto. E forse anche un ebook (ovviamente) da scaricare qui da noi. Insomma, è una domenica, è primavera, veniteci a trovare. Speriamo di far bene.

Sabato 21 aprile
Coll'avvicinarsi del Natale, al Teatro Sociale di Busto Arsizio (VA), alle 21 trattabili, facciamo le care e vecchie Schegge di Liberazione, quelle di sempre, quelle sempre diverse. E poi...

Domenica 22 aprile e mercoledì 25 aprile
Con le gambe che un po' tremano, festeggiamo davvero il Natale facendo le Schegge di Liberazione con il Coro delle Mondine di Novi di Modena. Il 22 aprile all'OFF di Modena, alle 21; il 25 aprile all'Antica Pescheria di Rimini, verso le 18:30 o le 19. E quindi ci siamo noi, ci sono le Mondine, ci sono le storie di Resistenza, ci sono le cante partigiane e di risaia: è Natale. Festeggiamolo.

Venerdì 27 aprile e sabato 28 aprile
Migriamo nella Capitale per fare un reading di cui vi parleremo più avanti, il 27 sera, al Pigneto, che è un posto che ci piace da matti. Poi il giorno dopo, tra le 16:30 e le 18:30, siamo nel programma di LibrInnovando 2012, alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Tor Vergata (pensa te), con una cosa che si chiama L’autopubblicazione e gli editori e che vede come relatori: Edoardo Brugnatelli (Mondadori), Andrea Libero Carbone (duepunti Edizioni), Sergio Covelli (SelfPublishing Lab) e (glom) Marco Manicardi (Barabba Edizioni). Sarà l'ultima cosa della due giorni di LibrInnovando. Non sappiamo ancora se sarà una tavola rotonda o se faremo uno dei nostri soliti discorsetti, boh, voi venite là, poi vediamo.

E a maggio c'è il Salone Internazionale del Libro di Torino, dove saremo ancora ospiti di Bookrepublic, ci han detto; e poi altre cose, tipo nelle scuole. Ma ve lo diciamo meglio più avanti.

lunedì 2 aprile 2012

Trucchi della borghesia (60)

La carta igienica decorata.

Scartavo la carta igienica colorata, profumata o disegnata, a doppio o triplo velo. Finalmente ho trovato quella di un tempo, bianca. In via d'estinzione.

(di carmelo)