mercoledì 29 febbraio 2012

Febbraio 29: un ebook

Il titolo di questa raccolta avrebbe dovuto essere di ventotto ce n’è uno, ma all’Editore non è piaciuto e quindi si è optato per Febbraio 29, come una serie tv americana: non servirebbe nemmeno dire di che stiamo parlando.

(Elena Marinelli, dall'introduzione a Febbraio 29)
Anno bisesto, anno fuor di sesto. È mezzanotte e un minuto di mercoledì 29 febbraio 2012 ed è il momento giusto per pubblicare quattro racconti di osvaldo, cioè Elena Marinelli, e uno di Azael, cioè Sant'Augusto Chapdelaine, racchiusi sapientemente nell'artwork della nostra amica tostoini.

Febbraio 29 è un bel librino gratuito. Si scarica qui in pdf, per i tradizionalisti, qui in epub e qui in mobi, per quelli al passo coi tempi.

Buona lettura.

martedì 28 febbraio 2012

Febbraio 29: esce domani

Quattro racconti di osvaldo (cioè l’elena), un’incursione di Azael, la copertina di tostoini. Esce, guarda un po', domani. Click.

lunedì 27 febbraio 2012

Grazie Reagan, bombardaci Carpi

L'altro giorno, prima di leggere le Schegge di Liberazione agli studenti delle scuole di Civitavecchia, ho detto al microfono che il progetto è nato nel 2010, in occasione del venticinquesimo anniversario di Materiali Resistenti. Ho detto "venticinquesimo", mi sono sbagliato: era il quindicesimo. Però ho detto "Materiali Resistenti", che sull'edizione domenicale di un giornaletto di carta della città è diventato "bombardamenti". Giuro:
"Tutto nasce nel 2010, quando sul blog «vagamente» letterario Barabba sono comparsi i primi racconti sui bombardamenti di Carpi in provincia di Modena (in occasione del XXV anniversario)"
Io del 1985 mi ricordo solo la grande nevicata, ma ero piccolo. Nello stesso articolo c'è scritto anche:
"Storie che verranno raccolte poi in ebook gratuiti, ma grazie al patrocinio della Provincia di Roma e Fnsim, nel 2011 diventeranno un'edizione cartacea"
Che, insomma, non è mica vero.

Sul Messaggero, invece, nell'edizione di Civitavecchia, è uscito un pezzo che ci rende giustizia. E ci dice che siamo «gajardi». Giuro. Son soddisfazioni.

giovedì 23 febbraio 2012

Biografie essenziali (132)

A Erwin Rudolf Josef Alexander Schrödinger, da piccolo, dev'essergli morto il gatto, evento che si direbbe non aver accettato, nemmeno da grande.

(di Cristiano Micucci "Mix")

mercoledì 22 febbraio 2012

Treno della Memoria 2012, seconda parte: la Memoria

Due baldi barabbisti (carlo dulinizo e il sottoscritto), lo sapete, sono stati ad Auschwitz con gli studenti delle scuole superiori. Adesso, in due parti, han provato a raccontarvelo su No Borders Magazine, il sito di viaggi più tosto della blogsfera. La prima parte è uscita mercoledì scorso, la seconda comincia così:
C’è come una mandorla secca, incastrata sotto il tuo sedile del treno. Dopo averla guardata un istante, la prenderai, ti chiederai quanti chilometri ha fatto e te la metterai nello zaino come portafortuna, senza sapere bene il perché.
E continua qui.

martedì 21 febbraio 2012

Gli antieroi: Alfio Righetti

La Romagna è una terra strana. Non è una regione, è metà. In ogni caso non se ne preoccupa molto, la Romagna, in fondo è conosciuta in tutto il mondo, perché in Romagna c'è il mare. Non si preoccupa molto nemmeno del mare, perché il mare della Romagna non è che sia il più bello del mondo. Anzi, a dirla tutta il mare della Romagna è uno schifo, se vai dall'altra parte dell'Adriatico sembra un paradiso, ma tutti vanno in Romagna, perché in Romagna ci si diverte. E in Romagna ci si diverte perché ci sono i romagnoli, che son gente che sa come divertirsi e come farti divertire. Gente che ti organizza qualsiasi cosa e la porta fino in fondo, che riesce a prendere un mare che fa schifo e un lembo di terra e la fa diventare la capitale europea del divertimento estivo.

In Romagna, in un paesino chiamato Montecolombo, nasce Alfio Righetti. È il 18 settembre del 1952. Della sua infanzia non sappiamo nulla, ma ci piace immaginarlo immerso nella classica zuffa giovanile, dove ne esce vittorioso grazie ai potentissimi pugni.

Perché Alfio Righetti è un pugile. Un peso massimo.

Comincia a combattere da giovane e nel 1974, a ventidue anni, ben presto passa professionista. Gli incontri che tiene sono tutti tra Bologna e Rimini, ma tecnica e potenza non mancano, quindi ogni tanto lo si vede in qualche riunione pugilistica a Roma, Milano, Torino. I nomi degli avversari, dai classici nomi italiani, diventano pian piano più esotici. Larry Renaud, Bill Carson, Arno Prick. Alfio Righetti li batte tutti. Spesso per KO, qualche volta ai punti. Ma sempre.

Nel 1977 è il momento del titolo italiano dei pesi massimi. Alfio Righetti, il 5 marzo vince ai punti contro Dante Cane. Si riconferma due mesi dopo contro Mario Baruzzi.

Nel 1977 la stella di Mohammed Alì sta cominciando a offuscarsi. È ancora il campione, ma chi sa di pugilato comincia a capire che una vittoria ai punti contro il non più irresistibile sfidante può essere un segnale inequivocabile.

Intanto Alfio Righetti continua la sua serie vincente: batte Roy Wallace ai punti e poi distrugge il quotato Dennis Jordan al sesto round per KO. È un anno importante per Alfio, un anno nel quale si è al massimo e si deve combattere il più possibile. E pensare che l'arrivo di Alex, suo figlio, imporrebbe magari di mettere la testa a posto. Un incontro contro Ishaq Hussein a Rimini, vinto ai punti, gli dà la possibilità di incontrare Mohammed Alì. Manca un ultimo ostacolo. Un ostacolo di nome Leon Spinks.

Leon Spinks, un ragazzo talentuoso al quale mancano i due incisivi superiori, è il più accreditato sfidante per il titolo e in molti giudicano questa impresa impossibile. Ma Alfio Righetti non si perde d'animo e arriva al maestoso Caesar's Palace di Las Vegas per sfidarlo, il 18 novembre 1977.

Sono dieci riprese di boxe com'era una volta la boxe, appassionante e intensa. Dieci riprese al termine delle quali i tre giudici riconoscono tutti 2 punti di vantaggio per Leon Spinks. Sarà lui ad affrontare Alì.

Leon Spinks porrà fine al regno di Alì battendolo per KO. I giornali intitoleranno "The Greatest Is Gone". Alì si riprenderà il titolo qualche mese dopo.

Alfio Righetti combatterà ancora ma senza mai arrivare a quei livelli. Avrà una chance per il titolo europeo il giorno 11 luglio 1979 in un match contro Lorenzo Zanon, che finirà in parità. Quello sarà, tra l'altro, l'incontro che il giudice Ambrosoli guarderà con amici poche ore prima di venire assassinato da un killer mandatogli da Sindona, che lo aspettava sotto casa.

Nel 1980 Alfio Righetti si ritirerà definitivamente dalla Boxe dopo una rovinosa sconfitta per KO al primo round contro Terry Mims. Lo stesso anno diventa il portiere della Pallamano Rimini per una stagione. Suo figlio Alex è diventato un cestista professionista, Bronzo agli Europei e Argento alle Olimpiadi, campione d'Europa club con Bologna.

Alfio Righetti oggi fa il vigile urbano, a Rimini. Provate a contestargli una multa.

lunedì 20 febbraio 2012

Le interviste alla rovescia: Stefano Amato

Il giorno del mio compleanno ho ricevuto una mail con un regalo: il nuovo romanzo di Stefano Amato, L'apprendista libraio. Mentre finivo di leggerlo, mi era venuta voglia di scrivere qualcosa, solo che non sono un critico e recensioni di libri se ne trovano da tutte le parti. Poi ho pensato di intervistarlo, Stefano Amato, ma le interviste con gli scrittori, diciamolo, hanno un po' rotto le balle. Così l'ho contattato e gli ho detto che secondo me sarebbe una bella idea se ogni tanto fosse lo scrittore a intervistare un lettore, quindi gli ho chiesto se avesse voglia di farmi delle domande. Lui mi ha detto ok, e allora oggi, orgogliosamente, inauguriamo le grandi interviste alla rovescia di Barabba. La prima è questa e fa così:

Stefano Amato – Sono curioso, che effetto ti ha fatto ricevere in regalo, il giorno del tuo compleanno, il mio romanzo? Io l'ho fatto senza pensarci, ma subito dopo mi sono detto: "No! Che ho fatto?" Perché questa cosa – regalare il proprio romanzo – è proprio una cosa da Autore Locale, un genere di cliente che prendo spesso in giro sul sito e sul romanzo.
Many – Guarda, già il fatto di autopubblicarti un libro elettronico su internet ti rende automaticamente "autore locale". Però va bene, è una strada che va battuta, sei tra i pionieri, in un certo senso: una specie nuova di "autore locale". Poi appena ho visto la mail ho pensato: ma guarda te questo qui, non ci siamo mai incontrati e mi fa un regalo di compleanno perfetto. Ed è stato perfetto perché l'unico altro regalo che abbia ricevuto è un Kindle. Io sono uno che gli ebook li legge da un po', di solito al bar o quando sono in bagno o quando aspetto la pizza da asporto o, insomma in quelle occasioni lì, solo che finora ho sempre letto gli ebook sul telefonino. Ecco, adesso, col Kindle, che è come averlo acceso per la prima volta e averci trovato già dentro L'apprendista libraio, ti dirò, far colazione o fare la cacca son tutta un'altra esperienza, rispetto a prima.

S. – Cavolo, un po' t'invidio. Io non riesco a leggere niente di lungo mentre faccio la cacca, perché finisce che mi concentro troppo e inibisco la peristalsi. Preferisco cose brevi tipo le recensioni del dizionario del cinema o l'etichetta del bagnoschiuma.
M. – In quelle occasioni ho sempre letto le recensioni del Mucchio, che son lunghe il giusto per non deconcentrarsi, per il motivo che dici tu. Poi quando ho cominciato a leggere gli ebook, niente, mi son trovato benissimo e la testa ha smesso di interferire col culo, e tutti e due han preso a muoversi indipendentemente. Adesso, col Kindle, secondo me sto anche meglio, a livello intestinale.

S. – Per quanto riguarda la faccenda di autoprodursi, avevo sottovalutato in pieno la questione del "metterci la faccia". In questi giorni ogni volta che apro la casella email ci trovo una o più critiche al romanzo, alcune positive, alcune abbastanza feroci. Ora, lo so che non si può piacere a tutti eccetera (e anzi molte critiche sono benvenute perché rientrano nel mio "piano decennale" di cui forse parleremo) ma volevo chiederti: tu come reagisci di solito a una critica negativa? Non mi riferisco solo in campo letterario, ma più in generale, sul lavoro e via dicendo. Intendo le critiche severe, quelle che sfiorano la cazziata, vanno quasi sul personale, e ti reputano responsabile di vere e proprie catastrofi (una blogger, partendo dal fatto che non le è piaciuto L'apprendista libraio, ha previsto l'apocalisse del "selfpublishing" in Italia...)
M. – Mah, come reagisco: di solito mi incazzo come una bestia. Dopo ci penso, che spesse volte i critici (nel senso di quelli che fanno le critiche vere e severe) hanno ragione. Però rimango lo stesso incazzato come una bestia, son fatto così. E comunque sono cose che devi mettere in conto, se ti autoproduci, come devi mettere in conto quelli che non capiscono cosa stai facendo. (Tipo, a noi che facciamo gli editori inesistenti, ci riempiono la casella di posta con curriculum e manoscritti, che delle volte vien da pensare che in giro ci sia della disperazione.)

S. – Va bene, allora visto che hai finito di leggere il romanzo posso chiederti: una cosa che ti è piaciuta (se c'è stata) e una che non ti è piaciuta (se c'è stata) dell'apprendista libraio.
M. – (Intanto ho letto il post della blogger di cui sopra. Più che una critica o una stroncatura, mi sembra un'invettiva.) Allora, parto dalla cosa che non mi è piaciuta, così andiamo in crescendo verso la cosa che mi è piaciuta. La cosa che non mi è piaciuta, forse, è l'eccessiva cesellatura che ho notato nella prosa. Di tuo avevo letto – a parte i vari blog – solo Domani gli uccellini canteranno e, rispetto a quello, la prosa dell'apprendista libraio mi è sembrata un po' troppo appiattita, delle volte ridondante, soprattutto nei flussi di coscienza di Santo D'amico (per chi non l'ha letto: il protagonista): quando Santo spiega il suo sentire a sé stesso lo fa con un linguaggio troppo rivolto al lettore. Avrei forse tagliato qualche frase qua e là, ne avrei compresse altre. Lo stesso impatto, inizialmente, l'ho avuto con le questioni sessuali (per chi non l'ha letto: Santo D'amico, nonostante il suo sentirsi solo al mondo, scopa come un riccio), poi invece l'impressione è cambiata perché in quel caso la prosa si sposa bene con l'insofferenza oblomoviana di Santo (Santo e Oblomov, tra l'altro, sono coetanei).
La cosa che mi è piaciuta è stata la sorpresa di trovare un romanzo vero, e non una serie di aneddoti presi dal blog dell'apprendista libraio, magari legati da una struttura narrativa sommaria. Mi rendo conto che questo possa essere un aspetto che spacca in due i lettori, ma io son dalla parte di quelli che hanno apprezzato la scelta. Mi è piaciuto anche il filo rosso che lega il Santo libraio dell'apprendista con il Mirko edicolante degli uccellini, anche se là, negli uccellini, c'erano un intreccio più complesso e soprattutto un altro personaggio fondamentale come Andrea. Ecco, l'apprendista è un romanzo senza trama, e a me piacciono i libri senza trama, delle volte. Questo mi è piaciuto.

S. – Hai ragione, molti potenziali lettori speravano che il libro fosse una raccolta di aneddoti o dialoghi. Altri si sono detti felici che invece fosse un romanzo vero e proprio. È sempre un sollievo scoprire che non puoi accontentare tutti e che alla fine è meglio fare come ti pare e amen. L'importante, per quanto mi riguarda, è che il libro svolga la funzione per cui è stato scritto: intrattenere chi lo legge. Sia chi lo ha apprezzato, sia chi lo ha criticato, infatti, lo ha letto tutto, fino in fondo. Finora nessuno ha scritto: "non sono riuscito a finirlo". E guarda che il romanzo è meno breve di quanto uno possa pensare. È lungo cinquantacinquemila parole. Ecco, questo per me è molto importante. Sapere di avere intrattenuto qualcuno, intrattenendo me. Non so come terminare questo ragionamento con una domanda, quindi ti chiedo: tu hai mai scritto un romanzo? Hai mai pensato di scriverne uno? E se sì, che cosa ti ha impedito di farlo? Ci metto il carico: tu perché scrivi, Marco?
M. – No, non ho scritto alcun romanzo. Confesso che ci avrò pensato mille volte, di scriverne uno, poi però niente, mi manca la scintilla, o semplicemente è una cosa che non riesco a fare come non so cambiare un tubo dell'acqua in casa. Però, tra blog e tumblr e racconti scritti qua e là e articoli e ospitate, insomma, penso di aver scritto più parole di Manzoni. Quindi ci sarà un motivo, del perché scrivo. Mi sa che, per me, scrivere è un vizio, un vizio sociale, un vizio che ti rende possibile stare in mezzo agli altri ma che può anche far male alla salute. Un po' come fumare.
Allora adesso ti faccio io una domanda, che poi è una delle due domande che in un'intervista con uno scrittore, secondo me, hanno un minimo di senso, e cioè: te perché hai scritto l'apprendista libraio? (L'altra domanda è quella che fa sempre Bonino quando intervista degli scrittori: il libro che hai scritto è bello?)

S. – L'ho scritto perché volevo festeggiare i cinque anni da commesso di libreria; perché mi sembrava la cosa giusta da fare in quel momento; e perché rientra in quel piano decennale di cui ti parlavo prima. In breve: nove anni fa, un giorno ho deciso che volevo imparare a scrivere romanzi, e per farlo avrei scritto cinque romanzi in dieci anni, pazienza se non me li avessero pubblicati. Pensavo, e lo penso ancora oggi, che per imparare a fare una cosa e se non hai nessuno che t'insegna, niente valga quanto farla, quella cosa. Così come per imparare a fare un tavolo decente niente vale quanto costruire una serie di tavoli. Magari i primi ti vengono sghembi, ma ogni volta impari qualcosa, o un falegname esperto ti fa notare dove stai sbagliando (e i falegnami maligni, altrettanto utili, ti dicono di accenderci il fuoco). E dopo un po' magari ti viene fuori un tavolo decente. Oppure, chissà, scopri che costruire tavoli non ti piace nemmeno tanto e passi, che ne so, alle sedie. Ma non lo saprai mai se non ti chiudi in falegnameria. Tutto questo per dire che negli anni ho provato il romanzo in prima persona, quello in terza, quello realista, quello un po' surreale, eccetera, tutto allo scopo di imparare. Ecco, forse ho scritto L'apprendista libraio perché questa era la volta del romanzo semi-autobiografico, in prima persona e al passato remoto, con scarsa attenzione alla struttura in tre atti, al climax, eccetera. Per quanto riguarda la domanda che fa sempre Bonino agli scrittori, se è bello il libro che ho scritto, ti rispondo: a me piacerebbe.
M. – Ok. Se vuoi puoi chiedermi delle altre cose: l'intervistatore sei tu. Anzi, scusa se ti ho fatto una domanda io, non ho mica resistito.

S. – Ancora una, allora. Entri ancora in una libreria ogni tanto? O ormai tutti i tuoi movimenti librai avvengono sull'internet? Se ci entri, hai da condividere un episodio (anche non recente) tipo "Apprendista libraio" con i lettori di Barabba?
M. – Ci entro molto spesso, in libreria, cioè, molto spesso per come m'immagino la frequenza media d'ingresso in libreria delle persone normali. Ci entro più o meno quanto entro nei negozi di dischi, quindi diciamo una o due volte al mese. Però, A differenza dei negozi di dischi dove anche se entro per caso finisce che esco sempre con qualcosa, in libreria ci vado solo quando so quello che voglio. Se non trovo il libro tra gli scaffali – la libreria è quasi sempre la stessa, ormai la conosco benissimo – vado dal commesso, gli dico ciao hai mica il tal libro (citando titolo, autore e casa editrice, e anche la data d'uscita, se serve) e se ce l'ha lo compro, altrimenti lui di solito mi chiede se voglio mandarlo a prendere, ma io, puntualmente, ringrazio e rispondo che no, guarda, fa lo stesso, non ho fretta. Poi vado a casa e lo ordino su IBS, per esempio, se lo voglio di carta, o su Amazon o Bookrepublic, per esempio, se mi va bene anche in ebook (ultimamente sempre più spesso). Però la mia libreria mi piace, anzi, a voler essere sincero, dopo che ho letto l'apprendista mi sono accorto di aver sempre sognato, come il tuo "Autore Locale", ahimé, di metterci un libro in vetrina per poi rimirarlo attraverso il vetro, tipo quando la libreria è chiusa, di sera, mentre ci passeggio davanti col cane. Per fortuna non ne ho ancora scritto neanche uno.

S. – Abbiamo finito. Come sono andato?
M. – Benone, grazie. Io?
S. – Sei andato benissimo.

__________
L'apprendista libraio, il nuovo romanzo di Stefano Amato, è uscito l'8 febbraio, costa due euro e novantanove e si trova sul sito dell'apprendista libraio (in epub e mobi) e anche su Amazon (ovviamente solo in mobi).

domenica 19 febbraio 2012

Testata

Da oggi abbiamo un nuovo header, come si dice in gergo tecnico. L'ha fatto il nostro amico thuna, quello delle copertine di Schegge di Liberazione outtakes e bonus tracks, e di quel racconto mirabolante ch'è Giovani sfighe e giovani aguglie. Speriamo che vi piaccia. Altrimenti, pazienza.

sabato 18 febbraio 2012

Biografie essenziali (di scienziati, perlopiù)

Dopo Peppe Liberti, questa volta le biografie essenziali sono a casa di Popinga. La mia preferita è: Giordano Bruno fu una delle figure più luminose degli inizi del Seicento.

mercoledì 15 febbraio 2012

Treno della Memoria 2012, prima parte: il Treno

Due baldi barabbisti (carlo dulinizo e il sottoscritto), lo sapete, sono stati ad Auschwitz con gli studenti delle scuole superiori. Adesso, in due parti, provano a raccontarvelo su No Borders Magazine, il sito di viaggi più tosto della blogsfera. La prima parte comincia così:
[Fossòli-Birkenau, con l’accento tedesco sulla o, è la tratta dal campo di concentramento di Fossoli alla Juden Ramp di Oświęcim, cioè Auschwitz, che han percorso col treno in tanti, a quei tempi là, e mica per scelta. La stessa tratta da otto anni viene attraversata da centinaia di studenti delle scuole superiori, intorno al 27 di gennaio. Si parte dalla stazione di Carpi, il 25, con un sole che non sembra inverno, e si arriva la mattina successiva a Kraków-Płaszów, nella neve ghiacciata di una Polonia grigia e inospitale.]
E continua qui.

martedì 14 febbraio 2012

venerdì 10 febbraio 2012

Neanche la posta di Cioè avrebbe saputo fare di meglio

A me non piacevano le birre scure, nel novantadue. Non bevevo neanche la Coca Cola, figurati la birra, figurati quella scura. Adesso invece. Le cassette di mia madre stavano in una scatola di quelle da stivali che a sua volta stava sotto il lettone. Da lì pescavo a manate sul fondo, che magari le prime no che poi se ne accorgeva. Tiravo fuori Jackson Brown o Bob Dylan, doppiate ovviamente, e andavo sul sicuro che tanto se li sarà scordati, mette sempre Rimmel lei, queste qui son vecchie, si vede, non sa neanche più di averle. Le prendevo e me le mettevo nello zaino che poi le avrei date alla Mary il giorno dopo a scuola. La Mary ci sarebbe andata sopra col disco di quelli dell'uomo ragno, l'aveva comprato suo fratello e alla ricreazione cantavamo sempre.

"Mary, cos'è la mala?" "Boh, una roba dei fumetti" "Ah, già".

Quando i miei facevano le medie (e parliamo di due generazioni distinte) imparavano le poesie a memoria. Quando le ho fatte io, ma anche te forse, no. Nel novantadue non sapevo neanche una poesia a memoria. Sapevo qualche filastrocca, la vispa Teresa, le canzoni di Natale e basta. Mandavo a memoria solo Michael Jackson, ma con parole mie. Qualche canzone italiana, Agnese dolce Agnese color di cioccolata, Rimmel per forza, una o due da Sanremo forse. Mai un disco intero. Hanno ucciso l'uomo ragno è stato il primo disco intero mandato a memoria. Insieme a un altro. L'altro (quello finito su Bob Dylan) era Italyan, Rum Casusu Çikti degli Elio e le Storie Tese. Solo che Il vitello dai piedi di balsa alla Mary non piaceva. Piaceva a mio cugino, lo ascoltavamo pomeriggi interi e ci piaceva soprattutto perché c'erano le parolacce. Quindi gli Elio li tenevo nascosti, era una fruizione al limite della legalità. A casa con mia madre mettevo gli 883. Credo di aver pensato, se non per anni almeno per qualche mese, che gli Elio fossero goliardìa mentre Repetto e Pezzali verità.

Quando lasci le mutande in giro, s'inkazza, s'inkazza / quando il lesso non lo vuoi, s'inkazza, s'inkazza.

Gli 883 nel novantadue mi spiegavano i problemi dei ragazzi più grandi di me, problemi che avrei avuto anch'io, ne ero più che certa, già li nasavo all'orizzonte. Neanche la posta di Cioè avrebbe saputo fare di meglio. Le diecimila lire divennero un deca con loro; prima non le avrei mai chiamate così. Non c'era ai tempi, almeno in Italia, nessuno che scrivesse cose così reali, vere e immediatamente riscontrabili quanto loro. No, neanche Jovanotti, che i punti di riferimento di Jovanotti nel novantadue erano altri e foresti. Memorizzare e annuire era un attimo. Le "bonazze" non mi mettevano più in imbarazzo una volta svelate da Te la tiri; gli eredi degli yuppie anni ottanta diventavano automaticamente degli sfigati (6/1/Sfigato) e quelli della sala giochi piena di giochi i tuoi nuovi amici (Jolly Blue).

Facce pulite, modi simpatici-mai-spacconi e balletti divertenti (grazie Repetto): nessuna dannazione, esaltazione o robe da universi paralleli. Azzerate le distanze, gli 883 erano i tuoi fratelli maggiori, parlavano la tua lingua (no, non il dialetto che non lo parli neanche tu), sembravano abitare nella tua via. Ecco. Quello che penso sia stato il loro punto di forza fu proprio questo loro porre le basi di un neoprovincialismo da bar, simile a quello che piace tanto ai fan di Ligabue, solo che Ligabue per evocarlo ha bisogno, appunto, di uscire, di far della via Emilia il West, di sbatterti in faccia ogni due per tre i suoi riferimenti musicali, di Neil Young. Pezzali e Repetto no. Vi siete mai chiesti cosa ascoltassero gli 883? Quali fossero le loro fonti di ispirazione a livello musicale? No. E perché? Perché non ce ne può fregar di meno. Genuinità? Probabilmente sì. E allora tanto di cappello, perché la formula, nel novantadue, era perfetta. Anzi, quasi: il culmine l'avrebbero raggiunto, filosoficamente parlando, un anno più tardi con quel capolavoro che è Rotta per casa di dio:

Basta uscire più di dieci chilometri, che noi stronzi ci perdiamo.

Ancora tutto vero.

giovedì 9 febbraio 2012

Cicatrici: bonus track

Quando mia sorella era piccolissima, quindi io ero piccola senza superlativo, se arrivava l’estate e c’era la possibilità si andava tutti a Vasto, in Abruzzo, al mare. Andavamo sempre nello stesso posto, l’hotel Perrozzi. Quando ero piccolissima, quindi mia sorella non c’era ancora, prendevamo una casettina di legno dell’hotel in mezzo alla pineta...

Delle amicizie che non sono come le cicatrici
di Limoni a colazione

(E niente, a più di sei mesi dall'uscita dell'ebook di sfregi e difetti, c'è ancora della gente che lo scarica, lo legge, e poi si mette a raccontare delle sventure sulla propria pelle. Son soddisfazioni.)

mercoledì 8 febbraio 2012

Neverending tour: febbraio 2012

Questo mese facciamo solo due cose (anzi tre), ma molto, molto belline. E cioè:

Sabato 18 febbraio
simone rossi-Bicio-e-Gianluca, l'elena (cioè osvaldo) e Francesco Farabegoli leggono/suonano/disegnano croccantissima in un posto meraviglioso che si chiama Società di Mutuo Soccorso d'Ambo i Sessi Edmondo De Amicis, a Torino, praticamente in centro. Sulla locandina c’è scritto otto e mezza: inizieranno verosimilmente alle nove, ma non molto più tardi. Dura mezz’ora, puoi bere e puoi mangiare.

Sabato 25 febbraio
Leggiamo le Schegge di Liberazione a Civitavecchia, due volte. La mattina, verso le 11:00, per la prima volta siamo davanti agli studenti delle scuole superiori, in pieno orario scolastico: siamo molto agitati. La sera, invece, verso le 19:00, in una cosa che i giovani chiamano "apericena", al Panama Café, leggiamo le Schegge di Liberazione come al solito, ma sono le ultime volte, ché poi le mandiamo in pensione. Dopo l'"apericena", si balla il roghenroa.

Poi a marzo facciamo delle altre cose, ma ve lo diciamo più avanti. Per aprile, soprattutto, tenetevi liberi, che torniamo con le mondine e coi discorsi pubblici sull'editoria inesistente. Pensa te che matti.

martedì 7 febbraio 2012

Trucchi della borghesia (49)

L'altra sera stavo cenando con una bella insalatona e del prosciutto cotto. Nell'angolo inferiore sinistro della confezione del prosciutto (marca Coop, a me piace molto, ma questa è un'informazione che lascia il tempo che trova) campeggiava la scritta "Apri qui". Non si apre mai un cazzo, o meglio, la confezione si apre allo stesso modo in tutti e quattro gli angoli.

(di Massimiliano Calamelli "emmeccì")

lunedì 6 febbraio 2012

Barabba Elettrolibri: Hanno ucciso Barbapapà (io per me vorrei essere una rana)

“Magari non scrivi più così e non ti riconosci, ma non essere egoista, non pensare a te, pensa a Hanno ucciso Barbapapà. Nel momento in cui l'hai scritto non è più cosa tua... Un po' come i figli: puoi dargli un'educazione, un indirizzo, ma poi devono vivere la propria vita... e Hanno ucciso Barbapapà pure”.
elia_pippi
La storia di Hanno ucciso Barbapapà (o Io per me vorrei essere una rana), un racconto lungo della nostra amica Sara Parravicini detta "la saRamandra", è un po' strana e complicata, ma se avete voglia, se v'interessa, potete leggerla qui. Comunque, è andata a finire che Hanno ucciso Barbapapà (o Io per me vorrei essere una rana) è stato poi pubblicato a puntate qui su Barabba, verso la fine del 2011, e adesso la Sara ci ha fatto un librino digitale che inseriamo orgogliosamente nella nostra collana inesistente che non pubblica niente Barabba Elettrolibri.

Hanno ucciso Barbapapà (o Io per me vorrei essere una rana), di Sara Parravicini detta "la saRamandra", potete scaricarlo gratuitamente qui: in pdf e in epub.

Buona lettura.

domenica 5 febbraio 2012

Biografie essenziali (131)

Johannes Kepler, detto Giovanni Keplero, detto Giovanni Cheplero, quando il venditore del vino gli andò a casa a misurare il livello nelle botti, chiese com'è che faceva, con quella strana asta, e il venditore disse "a dir la verità, come funziona non lo so mica, facciam così, siamo autorizzati".
Allora Kepler, che invece voleva sempre sapere come funzionavano le cose, ci studiò su, e scrisse un trattato intitolato Nova stereometria doliorum vinariorum, dove anticipò alcuni dei fondamenti del calcolo differenziale e integrale, nonché soluzioni interessanti per risolvere i problemi di minimo e di massimo. Il tutto mentre aspettava che gli venisse in mente anche la terza legge del moto dei pianeti. Le prime due le aveva scoperte nel 1609.

(di Cristiano Micucci "Mix")

sabato 4 febbraio 2012

Nel mio mondo perfetto (9)

Nel mio mondo perfetto, il mestiere più ambito è il meccanico di biciclette, e quando nevica, che le strade si fanno impraticabili alle automobili, esiste una cassa di solidarietà tra tutti i lavoratori, così quelli troppo insicuri alla guida, ma soprattutto quelli troppo sicuri di sé, sono obbligati alle ferie forzate, però pagate. Questo, vorrei, nel mio mondo perfetto.

venerdì 3 febbraio 2012

Di neve, lacrime, cipolle e coccodrilli

di Fabrizio Gabrielli

Wisława, provaci, è un nome mica semplice da pronunciare. Ha il suono d’una stalattite che svanisce gocciolando, scioglimento di semiconsonanti da lingua impastata dopo la terza vodka.
Uì-suà-uà.
Il cognome, invece, Szymborska: epiteto da segale distillata.

Wisława Szymborska, la prima volta che ho letto una sua poesia, m’ero appena destato, le cispe agl’occhi e il caffé sul fuoco, senti che ròba, mi ha detto simone rossi, eravamo in casteddu e fuori spirava maestrale, avevo un orzajolo, hai fatto in tempo a non venire all’ora prevista, c’era scritto, si parlava d’un appuntamento non dato in una stazione, nella città di N., A una è corso incontro / qualcuno che non conoscevo, / ma lei lo ha riconosciuto / immediatamente, continuava. Si sono scambiati / un bacio non nostro, / intanto si è perduta una valigia / c’era scritto, / non mia. L’incontro fissato, l’incontro fissato e nondimeno non previsto, tutto sommato, però, avveniva. Fuori dalla portata / della nostra presenza. Nel paradiso perduto / delle probabilità.
M’era parso subito del tutto significativo, quell’incontro imprevisto, Wisława che immaginavo sempre sorridente ed io, con gl’occhi cisposi e una lacrimuzza che s’affacciava repentina, con le lettere che si dilatavano sotto i riflessi dell’iride inumidito, come fa la vista con un granello di sabbia. M’ero pentito, di non averla conosciuta prima. Mi dispiaceva, abbandonarla subito.
Le lacrime agl’occhi, ai coccodrilli, vengono quando il pentimento soggiunge sottobraccio al commiato. See you later alligator.

Wisława Szymborska dicevano fosse la Greta Garbo della poesia.
Girare, apparire, girava e appariva poco.
Woody Allen sosteneva che sapeva catturare la tristezza e l’insensatezza della vita, in una maniera nondimeno ottimista, positiva. Lieve.
Non faccio null’altro che prendere parole pesanti, piene di pathos, ribatteva lei, e provare a renderle luminose. Leggere. Lievi.
Aveva avuto uno scorcio di notorietà improvvisa e a quanto sembra poco gradita nel millenovecentonovantasei, le avevano conferito il Nobel perché nella sua poesia riversava la geniale creatività di Mozart e l’impeto furioso di Beethoven. Mica perché infondeva la levità di Wisława Szymborska.
La Sindrome di Stoccolma, per lei, era tutt’un’altra cosa, ha raccontato in un’intervista. Per due anni ha smesso di scrivere. Passava il tempo costretta tra un’intervista e un pacchetto di sigarette. Era una gran fumatrice, Wisława. Tirava fin quando il mozzicone non le bruciava tra le dita. Fin quando non le lacrimavano gl’occhi.

Le lacrime agl’occhi vengono pure quando tagli le cipolle: da Wisława ho imparato ad apprezzare la rotonda perfezione della cipollosità, che niente ha a che vedere con l’umana volgare concatenazione di ignoto e selve di pelle appena coperti, interni d’inferno, [...] grasso nervi vene muchi e secrezione. La cipolla, idiota perfezione, ha tutt’in sé e null’altro le serve, coerente è la cipolla, riuscita è la cipolla.
Sarà per questo che quand’abbiam deciso di dirci sì, mia moglie e io, e siam stati d’accordo sul fatto che si sarebbero lette delle poesie o dei racconti stupendissimi, al nostro matrimonio, e a deciderlo già ci venivan le lacrime agl’occhi, sarà un matrim-onion, ci dicevamo, confidando nella slacrimante cipollosità della perfezione, ecco, nei testi che si sarebbero letti a voce alta abbiamo inserito anche una poesia della Szymborska, epiteto da segale distillata, nome da sgocciolamento di stalattite.

Io, coccodrilli, so mica come se ne scrivono. Però a slacrimare sono un campione.
Wisława Szymborska se n’è andata ieri l’altro, altrove.
A Civitavecchia, sui tetti, fatto inusitato, serendipità bianca come una cipolla, c’è la neve. Stalattiti che domani prenderanno a sciogliersi, scivoleranno via, sgoccioleranno altrove.
Altrove.
Altrove.
Come risuonano queste piccole parole
.

Nel nome del padre (8)

Ester: "Se arrivasse un tasso, e io avessi il becco di una gallina, e il cuore di una gallina, allora morirei. Però io sono più coraggiosa."

giovedì 2 febbraio 2012

Biografie essenziali (130)

Wislawa Szymborska aveva un cognome che avremmo scambiato per il nome di una vodka e come la vodka aveva la capacità di scivolarti limpida dentro e di scaldarti tutto.

mercoledì 1 febbraio 2012

Le domande che non vi ho fatto

L'altro ieri sera a Milano, in zona Garibaldi, al piano -1 di un lounge bar/hotel/non ho ben capito, c'erano più di trenta persone riunite, per confrontarsi sui temi del lavoro editoriale oggi, nel 2012, a fine gennaio, dopo il Grande Natale del Kindle in Italia, attorno a un tavolo ovale . Erano lì principalmente per discorrere di un aspetto preciso del lavoro editoriale: la narrativa. La domanda che campeggiava a cappello dell'incontro, infatti, era: "Dove sta andando la narrativa?".
Sempre che si stia muovendo, eh.

All'incontro c'ero anche io.
Al tavolo sedevano editor, editori e svariati blogger che si occupano di faccende letterarie, autori, twitter addicted, caporedattori e redattori di riviste letterarie. All'interno di queste categorie, io ero lì in qualità di lettore, che è poi la cosa più banale che possiate immaginare, lo riconosco, presenziando a un incontro del genere, non fosse altro perché tutti sono primariamente lettori. Allo stesso tempo, però, è l'unica cosa sensata che mi è venuta in mente quando, toccato a me il microfono, ho detto: nome, cognome e perché mi trovavo lì.
Nel corso di quasi due ore ognuno ha detto la sua; io e anche altri no, non c'è stato il tempo, eravamo in troppi per riuscire a concentrarsi su poche cose specifiche da portare avanti, e questo è stato il primo difetto dell'incontro. Non farò riassunti, né cronache dettagliate. Il punto, se un punto va trovato, è un altro.

Interessante è stato ascoltare opinioni e punti di vista attorno al concetto di lettore, lettura e mestiere editoriale e il motivo principale di interesse era che non si scivolava nel falso problema di voler definire a tutti i costi una dicotomia sostanziale tra lettori, editori e mestiere editoriale di carta e lettori, editori e mestiere editoriale digitale. Si era iniziato molto bene, ma il resto dell'incontro si è spento, ad esempio, sulla necessità di capire come si trasforma il mestiere editoriale con il supporto tecnologico accanto, i problemi morali eventuali legati a tale cambiamento, come poter reagire al self-publishing selvaggio per salvare la paternità dell'autorialità editoriale.

Il passo successivo sarebbe stato spostarsi su questioni come la percezione della narrativa, le abitudini di fruizione della narrativa, le abitudini di lettura e l'intreccio tra i diversi modi in cui io-lettore di libri di narrativa posso prendere un contenuto e leggerlo, parlarne, prestarlo, cestinarlo, riceverlo in regalo e rimetterlo in moto senza che né l'editore né l'autore possa di fatto impedirmelo.

Le domande che non ti ho fatto, a te che stampi, a te che non stampi o a te che ne parli, sono relative al lettore, in sostanza. Sono quelle che riguardano il mestiere di leggere che forse si sta affinando sempre di più, circondato da mezzi e possibilità prima inesistenti, e che sta continuando a essere un mestiere fisico, che contemplerà spazi nuovi e vecchi che si uniscono - lettori di ebook, libri rilegati, librerie, piazze, blog letterari, riviste letterarie, il circolo dei lettori di quartiere, il mio amico al bar o il mio comodino.
Le domande che, invece, vi siete fatti - come si mappa un lettore digitale, l'editor non servirà più, la professionalità dell'impaginatore sarà mandata alle ortiche, il self-publishing è una aberrazione, esiste una possibilità di nicchie di mercato raggiungibili più facilmente, eccetera - non hanno tenuto conto, o forse non lo si è esplicitato a dovere, del ruolo del lettore nel governo dei contenuti spiccioli (parole e punti e virgola), cioè quello di cui si ciba un autore e nel definire la necessità di un libro, che è la stessa necessità che sente intimamente un editor nel fare il suo lavoro.

Tra queste righe qui sopra, se ci siete abituati, potrete inserire l'aggettivo che secondo voi meglio definisce il campo fra "cartaceo" e "digitale": io non li ho messi apposta, secondo me non servono. Il mio mestiere di lettore non fa nessuna differenza tra cartaceo e digitale e rimarrà fedele ai miei gusti e alle mie abitudini in evoluzione. Voi potete decidere a che punto intervenire, se intervenire vi conviene o vi interessa.

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L'incontro era hashtaggato su twitter, come si dice in gergo tecnico: cip cip.