giovedì 10 novembre 2011

Hanno ucciso Barbapapà o Io per me vorrei essere una rana (4)

di Sara Parravicini (quarta parte)

Vado con la mia famiglia a trovare i miei nonni ogni domenica, da quando sono nata.
Io odio andare dai miei nonni: mio nonno ha un alito che puzza perennemente di aglio e sigaretta e mi dà il voltastomaco. Ogni volta cerco scuse per non andarci. La più gettonata è stata per anni quella dello studio, ma visto che adesso ho la media del quattro in quasi tutte le materie, non regge più molto.
Oggi avremmo dovuto festeggiare il compleanno di mia nonna. Impensabile salvarsi con la palla del compito in classe. Nemmeno un esame di maturità anticipato per motivi di guerra sarebbe riuscito a farmi ottenere l’ esonero dai festeggiamenti.
Io ho però deciso che non sarei andata dai nonni. Né oggi, né mai più.
E così mi sono lasciata cadere il Devoto-Oli su un piede. Dall’ultimo ripiano della libreria. Mi è finito proprio sul mignolo, ovviamente. Un male bestia.
Poi urla, le mie. Panico generale, mia madre con la borsa del ghiaccio, sguardi apprensivi, ma non se lo sarà mica rotto?

Adesso sono sola in casa, gli altri dai nonni a spegnere le candeline e a mangiare la torta.
Me ne sto spaparanzata sul divano raffreddando amorevolmente il mio mignolo salvatore, probabilmente rotto. Mi chiedo in quanto tempo guarirà. Spero non troppo in fretta perché, finché non potrò camminare bene, scamperò la gita dai vegliardi, visto che abitano al quinto piano senza ascensore.

Ma non sono preoccupata. Mi restano ancora nove dita, nei piedi.

***

Tutti mi dicono che il passato è passato, che il passato non può tornare.
Io penso che in sé, questa frase, abbia un che di vero, ma non quando si riferisce a me, no. Perché, nella mia vita, il passato ritorna, ciclicamente.
Tutto torna. Come una marea tossica, come un fiume inquinato in piena: incontenibile, nauseabondo, inarrestabile. Uguale. Ed è questo essere uguale a sé stesso, questo suo travolgermi con potenza inaudita, come allora, ecco, questo mi uccide.
No, anzi, non mi uccide: mi consuma. E allora grida la carne, mi mordo, mi graffio, per sentire che ancora ci sono, per dirmi che non sono morta, per ricordarmi che non sono tornata indietro, per non dover urlare il mio terrore, per sentire che sono, qui e ora, ancora io, Grazia Maria, Mariagrazia.

***

Un altro animale specialissimo è la salamandra. La salamandra è come una lucertola ma più molliccia perché è senza scaglie. La povera salamandra ha fatto spesso una brutta fine perché una volta si credeva che potesse sopravvivere al fuoco. Nella mitologia celtica le salamandre vengono anche chiamate Fate del Fuoco.

Ma se solo avvicini una salamandra al fuoco, la salamandra muore perché il suo corpo ha bisogno di tanta umidità per sopravvivere. Ché è quasi tutta di acqua bagnata, la salamandra.

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(qui ci sono la prima, la seconda e la terza parte)

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