venerdì 11 marzo 2011

Cicatrici: Arbitro

[riceviamo e con volentieri pubblichiamo la cicatrice di Sonqua Bene Cistò]

(Posizione)
Sopracciglio destro.

(Cause)
Mia madre era una sportiva. Io no. Tennis. Io preferivo fare le polpette con un pasticcio di acqua e terra rossa. Ogni tanto riuscivo anche a scavare nel campo qualche buchetta per prenderne piene manciate senza dover andare a strusciare i palmi fino ad ammonticchiarne una quantità sufficiente.

Però stavo attenta. Più spesso, andavo a prendere la terra rossa lontano dalle righe bianche. Mai sottorete. Ai bordi. Soprattutto, la raccoglievo quando i giocatori e gli astanti erano assorti o girati o impegnati da altri pensieri.

Ogni tanto, mi grattavo o mi stropicciavo gli occhi. Quando mi distraevo coloravo anche i capelli.

Ecco sarà per queste disattenzioni, forse, che mi hanno scoperto. E allora lì a spiegarmi che non si poteva costellare il campo di buche. Lì a spiegarmi che si doveva prendere la palla al primo rimbalzo. Le accelerazioni, la scivolata sul campo per prendere quelle palline che rimbalzavano vicino alle righe bianche, ma all’interno. Lì a spiegarmi che dentro il quadrato non era lo stesso che fuori il quadrato. Lì a spiegarmi la legge fisica della forza impressa alla sfera in punti diversi che determina le “palle ad effetto”. Lì a farmi vedere come usare il tappeto di stuoia per rendere il fondo di terra rossa liscio liscio. Lì a spiegarmi tutte le regole. La battuta, il net, il set point, la palla break. E la concentrazione e il silenzio. E i vestiti che, prima che nascesse Agassi, dovevano essere tutti bianchi o con piccoli disegni sfumati. E il tifo garbato e la poca esultanza.

Allora. Dico. Sto attenta. Faccio l’arbitro. L’arbitro del tennis. Almeno il punteggio. Ce la faccio a stare attenta. Dico. Tiro su le dita, uno per ogni 15 punti e tengo il punteggio. Che poi nessuno sapeva dire perché non si poteva dire uno a zero. Si doveva dire solo quindici a zero, trenta trenta e cose così. Se uno faceva un punto vinceva subito di quindici. Mica mi sembrava poi così giusto quello sport lì.

Comunque, la cosa più bella di fare l’arbitro del tennis, ho scoperto, era la sedia dell’arbitro del tennis.

Un seggiolone di ferro verde. La seduta larga. Comoda. Le scalette dietro. Come la sedia del bagnino ma più bella. Senza ruggine. Senza cinghie. Non come i seggiolini del luna park. Lo schienale alto. Piantata su un gradino di cemento grigio. E poi, alta. Altissima. Bella. Salgo su. Mi siedo, comoda.

Da qui sembra tutto diverso. Ora sì che si vedono i quadrati. Guardo la rete. Da qui sembra una linea svolazzante. I giocatori sembrano bambini, solo con le gambe più lunghe. Si vedono le teste. La parte di sopra. Quella non si vede mai. Si vede tutto da qui. La cima delle siepi. La fontanella fuori dal campo. Le seggiole degli spettatori. L’altro campo dietro questo qui.

Giocano. La testa va: destra, sinistra, destra, sinistra, sinistra, destra, destra sinistra. Si svita la testa se continuo così. Destra, sinistra, sinistra, destra. Poi cade la palla. Poi di nuovo, destra, sinistra, destra, sinistra. Mi annoio. Mi ricordo il punteggio. Destra, sinistra, sinistra, destra, destra, sinistra, cade la palla. Mi ricordo il punteggio. Destra sinistra, sinistra destra.

Cade la palla. No. Non me lo ricordo, il punteggio.

Destra, sinistra, destra, sinistra. E se si stacca la testa? Destra, sinistra, destra, sinistra. Mi annoio. Provo a muovere la testa in direzione contraria alla pallina. Così è più difficile. Destra, sinistra, destra, sinistra. Socchiudo gli occhi. Una fessurina. La pallina si trasforma in una linea in movimento sottile sottile. Destra, sinistra, sinistra, destra. No. Non lo so a quanto state, voi giocatori. Destra, sinistra, destra, sinistra.

Guarda! Quella non si muove dietro al pallina! Guarda mamma! Una coccinella! È quella vera! Quella rossa coi pallini neri! La prendo! Porta fortuna!

Volo. Oh, m’ero distratta. Cerco aggrappi. Rovinosamente verso il basso. Gradino di cemento. La macchia di sangue non si vedeva sulla terra rossa. Sembrava solo terra bagnata. Come quando facevo le polpette con l’acqua.

(Conseguenze)
Quando mi specchio, le mie sopracciglia non sono uguali. Una ha una righina; è separata in senso orizzontale da una sottile linea bianca. Secondo me le coccinelle non portano fortuna. Il tennis mi annoia. E fare il pane in casa e impastare a mano è una delle cose che amo di più.


di Sonqua Bene Cistò

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