mercoledì 9 febbraio 2011

Felice

Prima ho letto un passo del nuovo libro di Paolo Nori che si chiama La matematica è scolpita nel granito, era un passo che mi ha fatto pensare, diceva circa così:
"Ho ripensato poi all’idea che ti avevo accennato, una raccolta di racconti di scrittori emiliani. Il titolo, Allegri e disperati, significa nella mia testa un ragionamento che è cominciato da una frase di Gogol’. Nella mia testa c’è questa frase di Gogol’ che gira e dice più o meno Non avete provato anche voi quella sensazione di quando finisce la festa, che vi sembra che vi si stacchi la pelle di dosso? Questa sensazione di cui parla Gogol’, che la pelle ti si stacca di dosso dopo la festa, è secondo me tipica della nostra terra, dove il carattere gioviale della gente convive con una discrezione che impedisce di manifestare in pubblico i propri sentimenti e i propri affetti. Allora il momento della disperazione è un momento solitario. Non ci sono, da noi, e non potrebbero esserci, scrivevo, quelle donne che in Sicilia sono pagate per piangere ai funerali. Noi affrontiamo il mondo come se fossimo tutti d’un pezzo, con una dignità e una coerenza che ci hanno insegnato che vanno bene. E quando crolliamo, che crolliamo, crolliamo da soli, dentro le stanze. E uno che viene da fuori non lo direbbe mai, a vederci che teniamo su una compagnia di trenta persone e beviamo lambrusco e diciamo cazzate, non lo direbbe mai che diamo i pugni al muro, quando torniamo a casa."
E allora mi è venuto in mente che noi emiliani, quando andiamo ai funerali, a parte la prima fila dei parenti strettissimi, tipo la moglie e i figli se muore il marito, o i genitori se muore un figlio, a parte la prima fila non piange mai nessuno. E i funerali, da noi emiliani, son pieni di gente che ride, che si racconta le cose e soprattutto si racconta delle cose divertenti mentre si va insieme al cimitero dietro a una cassa da morto, anche se poi lo sai che son tutti lì che stanno abbastanza male, chi più chi meno, ma tutti almeno un pochino, per quello che è morto. E davvero dev'essere proprio così, come dice Nori, che uno che viene da fuori non lo direbbe mai, a vederci, non lo direbbe mai che diamo i pugni al muro, quando torniamo a casa.

Questa cosa si nota ancor di più quando l'ordine naturale del nostro cervello viene sconvolto. Per esempio, conosco un vecchio che si chiama Felice, che gira sempre avanti e indietro per la via dove abito adesso, gli son venuti due ictus e lui, dopo i due ictus, ha perso l'uso della parola. Si vede che il suo cervello, però, si è incantato sull'unica cosa che il cervello di un emiliano tratta come una funzione primaria e involontaria, primordiale, come respirare, battere le ciglia e far battere il cuore, e questa cosa sono le bestemmie.

E se lo incontri, Felice, mentre gira avanti e indietro per la via dove abito adesso, lui ti sorride e ti fa ciao con la mano. Allora rispondi e gli dici Ciao Felice, come andiamo oggi? Lui sorride ancora, fa su e giù con la testa e fa dei gesti come a dire Ma bene, dai, oggi non c'è male. E invece ti dice Diocane.

5 commenti:

  1. (chiedo venia per il linguaggio colorito, ma bisognava dirla così)

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  2. ...ho frequentato molti funerali. E onestamente alle spalle non mi è mai capitato di osservare le risate di qualcuno...

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  3. non è che si rida sguaiatamente. Ma è preso tutto, all'apparenza, con molta leggerezza.

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  4. In ogni caso, vedo tanta umanità.

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  5. Mi incanto sempre quando passo da queste parti...

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