sabato 10 luglio 2010

Pensieri in apnea: Luoghi comuni

Ventiduesima puntata

Ieri avevo dormito poco, lo si vedeva dalle sbandate che prendevo a dorso, sempre a sbattere contro i galleggianti o a invadere la parte di corsia di quelli che passano in senso opposto, ma il sole era alto e forte, l'acqua sotto quasi fredda e la voglia di sorridere era nascosta da qualche parte, non so dove, ma c'era.

Uscito dalla vasca, salutato il paesaggio che ogni giorno mi accoglie per un po' di tempo, sono andato verso le docce coperte, che dagli uomini son di due tipi (ma penso che sia la stessa cosa anche per le donne): quelle a celletta, disposte su due file ai lati di uno stanzone rettangolare, con tanto di porta e fermo, che ti permettono un lavaggio placido, approfondito e privato, poi ci sono quelle appese lungo i tre lati di una stanza quadrata e regolare, intervallate l'una dall'altra da poco più di un metro. Ecco, io in queste, collettive e promiscue, non ci vado mai.

Ci andavo quando facevo i vari sport che mi è capitato di fare anni fa, ma lì c'era un motivo cameratesco, uno spontaneo stare insieme a sparar cazzate. Amici e conoscenti che anche sotto la doccia non la smettono di parlare di donne e motori, gioie e dolori, ma adesso...adesso non ne ho motivo e poi ho scoperto che ci sono dei giorni in cui, mentre nuoto, e nello specifico quasi sempre a rana, mi entrano in testa canzoni, tirate fuori chissà da dove e allora quando arrivo sotto la doccia, quella chiusa, tipo gabbiotto, mi viene da cantarla, la canzone, o almeno fischiettarla. Roba tipo Island In The Sun dei Weezer o You Can't Always Get What You Want dei Rolling Stones, oppure Hard To Hold On dei Butter08 e non è che mi viene spontaneo esibirmi in pubblico, davanti a emeriti e riservatissimi sconosciuti, quindi mi rintano in uno dei cubicoli e canticchio tra me e me mentre mi lavo con calma.

Ma ieri non c'era nessuno nella stanza quadrata e subito, per non diventare troppo abitudinario e schizzinoso, mi son detto: "Dai" e ho cominciato a spogliarmi, a insaponarmi e a fischiettare Alle Morane dei mitici Lomas e mentre sto lì a sciacquarmi e a ravanarmi (termine squisitamente tecnico che indica la pulizia decisa ma delicata di ciò che nell'uomo è situato sotto l'ombelico), l'ho intravista, in basso, quasi in angolo, vicino alle griglie di scolo, tra le mattonelle grigie, bianca, piccola, neutra e quasi finta: una saponetta! L'epicentro di milioni di barzellette, la scaturigine di miliardi di scherzi, la grande leggenda dell'erotismo gay!

Mi guardo intorno, penso a uno scherzo, una scenetta preparata, credo anche che in realtà sia tutto un'allucinazione causata dalla mia stanchezza e da un effetto ottico tra le sbarre delle griglie, i riflessi della luce e le piastrelle. Ma non resisto, preso dalla smania di San Tommaso, una mano dietro a coprire il presunto bersaglio, una davanti verso il miraggio, mi chino. È vera, bianca, morbida e profuma. È sapone di Marsiglia, ne ha tutta la consistenza farinosa. E intanto niente. Non è successo niente.

La saponetta l'ho rimessa dov'era come quelle reliquie di santi che sai che non faranno mai miracoli, con tenera disillusione e un po' di sarcasmo, come quando ti aspetti un brutto scherzo che non arriva e ti eri già preparato al ghigno e alla controffensiva. I miti quando s'infrangono sono liberatori, scaricano energie fino a prima compresse e portano un po' di buon umore, così durante il risciacquo m'è venuto da ridere. Ero un etero pacificato con i timori repressi e le favole dell'altra sponda e canticchiavo.

Enola Gay, you should have stayed at home yesterday...


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