giovedì 12 luglio 2007

È la stampa, bellezza

A pagina 22 del nuovo numero di Voce, quello con la brasiliana in copertina (a Voce serve un copertinista), col titolo improvvisato di "Fenomenologia della Carta Igienica" (a Voce serve anche un titolista) trovate il copincolla dell'ultima fatica giornalistica del vecchio malvissuto. Sì, stiamo parlando di Carta Assorbente, il pezzo immediatamente anteriore al presente.

Ormai sappiamo bene quanto la tiratura di Voce aumenti a dismisura quando tra la sue porosità appare un pezzo del vecchio (a Voce urgono opinionisti). E ringraziamo a nostra volta per la doverosa citazione di questo infimo e verace blogghettino militante a piè d'articolo (anche Barabba, nel suo piccolo, necessita di pubblicità).

E nonostante la mossa editoriale odori di dubbia spinta giornalistica o, per meglio dire, di raschiamento del barile (a Voce occorre gioventù), siamo tutto sommato compiaciuti del riconoscimento dovuto alla genialità anziana del nostro collaboratore.

Non voglio, comunque, da par mio, dilungarmi in futili e sterili polemiche (a Barabba non serve, invero, un polemista) sulla legittimità o la mancanza di questa in relazione al probabile abuso dei Creative Commons (Voce agogna, ahilei, un esperto di new media). Tuttavia, la prossima volta che mi troverò a cena col vecchio malvissuto mi vedrò costretto a spiegargli quali siano diritti e doveri legati alla libera diffusione dei contenuti digitali senza fini di lucro.

Dei diritti, soprattutto. Di quelli dovrò parlare al vecchio, ché a quell'età i doveri possono anche andare, francamente, a farsi benedire. Poiché quando e se ricapiteranno situazioni del genere, egli sappia ricavarne almeno un compenso personale, in quanto autore unico e indivisibile delle proprie creazioni (a Voce, si sa, han le braccine corte). Anche solo perch'egli possa comprarsi - chessò - un paio di scarpe nuove...

domenica 8 luglio 2007

Il taccuino del vecchio: Carta assorbente

Il primo incontro con un rotolo di carta igienica il sottoscritto lo celebrò nel 1942-43 nel licet della residenza personale ed effettiva (7 stanze al piano nobile del ricovero per anziani “Tenente Luigi Marchi”) di monsignor Silvio Sabbadini, camerlengo di quel pio istituto nonché vicario generale vescovile e protonotario apostolico per la diocesi di Carpi. Una mia prozia, la sua perpetua già in età ultrasinodale, mi aveva severamente ammonito: “Schiacciala bene la carta dopo che l’hai usata, fànne un gomitolo compatto prima di lasciarla nel wc, poi aspetta un po’ che l’acqua lo assorba prima di tirare la catenella, se no può restare a galla oppure intasare la tazza!”. E così feci, senza alcun doppio senso glottologico, felice della buona riuscita.

In seguito, nel non lentissimo fluire degli anni del dopoguerra, furono i tempi dei cessi denominati 00 (doppio zero come il fior di farina) e dei numero 100, pochi i water closet, diffusissimi quelli alla turca con o senza rialzo all’altezza dei ginocchi, taluni dei quali muniti di salvanatiche in legno (per sedersi?) sorta di seggette ottocentesche che pochi, se non stremati dalla stanchezza o anziani orrorosi, osavano adoperare secondo le istruzioni implicite nel design dei progettisti. Questi impianti li trovavi nei cinematografi e nelle trattorie, ma lì le istruzioni erano apertamente graffite sul muro: “Qui la faccio e qui la lascio, metà al duce e metà al fascio”, un po’ antica o, più moderna: “Non dico fate centro, ma almeno cagate dentro”. Ovvero: “Chi col dito il cul si netta / tosto in bocca se lo metta / così resterà pulito / muro, culo, carta e dito”. E qui c’è l’aggancio per tornare all’argomento di cui trattasi.

In bagno bisognava cavarsela proprio à la carte. Come in amore. Cioè come sognano di fare ancora oggi, per l’appunto in amore, i putti, i celibi, i malmaritati, i timidi colpevoli, i casanova da circoscrizione n° 1, i “tangheri afficati”, gli astemi maledetti, gli stitici di cuore e di scarsella, o i post pci, pds e via siglando. Vale a dire usando la carta che c’era dentro il gabinetto pubblico-privato appesa a un chiodo, carta di quotidiano ritagliata a rettangoli, la prima forma storica di riciclo ecologico. La carta del giornale L’Unità, quella del quotidiano più morbido e poroso d’Italia perché passato per molte mani e letto e amato, veniva per ciò (per questa ragione) denominata in vernacolo dai nemici di classe (pardon, dagli avversari con i quali stiamo veltronianamente collaborando) la cartàza, la cartaccia.

Ho visto, ho conosciuto (biblicamente non già, poffarbacco!) ragazze delle quali neanche il mio collega Durante o Ariodante potrebbe mai cantare la grazia, l’incedere onesto benigno e lieto, le ho viste umiliate dalla schiuma di sapone come le schedine da Totocalcio in mano a un barbitonsore sulle quali egli, come suole, asperge nettandolo il suo impavido, sapiente rasoio. Queste ragazze, nel giudizio della nostra scalcinata borghesia, subivano in medesimo apprezzamento della carta nazionalpopolare di cui sopra: ragazze godibilmente consumabili, si pensava, belle, sì, ma di una bellezza “della sinistra”, venustà di conio inferiore, moneta spendibile ma non “forte”, non “pregiata”. Come i rubli sovietici o i marchi della Ddr: nessun banco di cambiavalute le avrebbe accettate.

Ma ho rivisto anche il mio alto medioevo. E ho risognato i miei 5 anni su quel lontano water closet del ricovero Marchi. Mi hai fatto rimembrare, o Barabba, la mia infanzia da Odi barbare carducciane: il cuore non poteva “fuggir sul Tirreno”, non ci ero mai stato, non mi ero mai mosso da qui. Tranquillo, cioè trasognante e un po’ grassoccio, dalla tazza del wc non arrivavo a terra con i piedi, dovetti fare un saltino. La Teresina, quella prozia monarchica che non si fidava di nessuno (tantomeno dell’Italia che avrebbe di lì a poco proclamato la Repubblica) mi voleva nonpertanto un po’ di bene, però quando defunse era ancora persuasa che io non fossi altro che un essere molliccio. Dalle finestre della sua stanza-dominio che dava (dominava) sul prato e giardino e orti del Ricovero ammiravo i vecchi che giocavano a bocce.

All’età di sette anni (era il 1945) mi fu concesso di far comunella con loro. Mi insegnarono niente. Erano dei vecchi autentici, poveri ma non invalidi o stremati come quelli che il “Marchi” ospita adesso. Da loro imparai soltanto a fare un aquilone con le pagine del Corriere della Sera o con quelle del quaderno di scuola, piegando i margini e attaccandoli a una funicella, e a correre come un matto per fargli prendere quota. Correvo dentro l’ampia corte dell’ospizio, circondata da orti profumati, arrivavo fino alla statua biancoceleste della madonna di Lourdes, là in fondo a un verziere vertice del roseto, tra via Catellani e via San Bernardino da Siena.

Conciononsiacosacchè, come dice Totò, assai presto giunse l’età dell’adolescenza, con le sue esigenze nutrizionali. Cominciarono a non bastarci più, a me e ad altri ragazzi carpensi del quartiere, i pezzi di manzo già sfruttato, consustanziato, con cosce di cappone, al brodo del pingue Camerlengo, frattaglie residue che egli cristianamente ci elargiva. Nella saggezza delle zirudèle del dialetto carpigiano c’è un canonico che dice: “I puvrètt in n‘in mai a pòst , i vòlen la zigòla (cipolla), i la vòlen pulida e arpunsèda (una notte di ristoro dentro un’acqua sorgiva), po’ i pretènden anch l’oli e l’azé (aceto forte non balsamico, ohibò). Me invece am cuntèint: du gran ed sèl e un pùi (pollo) aròst, e a sun apòst!” (il pollo del Camerlengo vs. la cipolla dell’affamato).
Per fare la cacca bisogna avere mangiato. E in questo mondo dolorante e immedicabile assai spesso la stitichezza e la pellagra generano da assenza di cibo ruminato nell’epigastrio.

Infine: la carta assorbente. Era molto spessa quella in dotazione al camerlengo direttore unico del Ricovero, ma la usava solo come estrema ratio. Quel prelato, che a onor del vero ricordiamo riconoscenti anche come omileta colto e realista (e come pacioso vangelista in Duomo) preferiva usare al suo posto una finissima sabbietta che aveva il potere di asciugare le righe pulsanti dell’inchiostro nero e di quello rosso che adoperava per vergare le sue bolle motu proprio. Il risultato ero uno scintillio, un fulgore da firmamento che distoglieva dal contenuto e alleviava per un istante i morsi della coscienza e quelli della fame.
Cum servata sint omnia quae servanda erant, nihil obstat quominus imprimatur.

venerdì 6 luglio 2007

Nel mondo istituzionalmente rovesciato, il vero è un momento del falso

A proposito di Sismi, Magistratura ed intercettazioni varie, un vecchio rompicoglioni nel 1979 diceva:

"L'Italia riassume le contraddizioni sociali del mondo intero e tenta, nel modo che si sa, di amalgamare in un solo paese la Santa Alleanza repressiva del potere di classe, borghese e burocratico-totalitario, che già funziona apertamente su tutta la superficie della Terra, nella solidarietà economica e poliziesca di tutti gli Stati... Gli altri governi sorti dalla vecchia democrazia borghese prespettacolare guardano con ammirazione al governo italiano per l'impassibilità che esso sa conservare al centro tumultuoso di tutte le degradazioni, e per la tranquilla dignità con la quale siede nel fango."

Sembra quasi che, da quando il "movimento" si muove entro la candida legalità e combatte a suon di processi, le istituzioni non possano fare a meno d'insultarsi e sbranarsi a vicenda.

Un vero spettacolo granguignolesco

Che cominci adesso la risata che li seppellirà?

mercoledì 4 luglio 2007

Carta canta

"Se la carta igienica si diffonde in Cina, il paese rischia il collasso. Immaginate 1,3 miliardi di cinesi che, come noi, usano il rotolo più volte al giorno. Tutta quella carta dovrà pur finire da qualche parte. E da qualche parte dovrà pur essere prodotta".

Così inizia un lungo articolo di Stefanie Schramm su Die Zeit di un paio d'anni fa sull'impatto ambientale dell'unico atto quotidiano che veramente accomuna ricchi e poveri occidentali. Non so se mai vi siete posti il problema - davvero, non so se augurarmelo o meno - ma oltre al petrolio, alle emissioni di CO2 e alle energie rinnovabili, una delle sfide che ci attendono nel futuro prossimo venturo riguarderà la carta, soprattutto quella utile a ripulirsi - mi si scusi il francesismo - il culo. Quale sarà il degno sostituto della carta igienica?

Soprassediamo immediatamente su metodologie di pulizia quantomai becere come le salviette umidificate, i rotoli a cinque strati o la carta igienica nera. Pare che la soluzione più accettabile sia quella del risciacquo totale, il quale, se adottato quotidianamente, oltre a rivelarsi come un gradevole sollazzo psicofisico, diverrebbe panacea degli impianti fognari e delle foreste tropicali. Ho comunque scoperto (partendo da qui) una letteratura abbastanza vasta e interessante sull'argomento. Anche se una soluzione vera e propria sembra al di là delle nostre attuali capacità tecnologiche.

Difficilmente da domani vi metterete a sciacquare le vostre natiche senza passare per quel rotolino appeso alla meglio a lato del vostro sciacquone. Quasi impossibile rinunciare di colpo a una sensazione della quale - diciamolo! - ci siamo un poco innamorati. Sicuramente non andremo a vantarcene in giro, anche soltanto per non incappare in facili scherni.

Ma un primo tentativo di arginare il consumo dipenderebbe da un paio di nevrosi freudiane che ci attanagliano la mente a nostra completa insaputa. L'umanità che fa uso di carta igienica, invero, si divide in una manciata di categorie: piegatori, appallottolatori, arrotolatori e utenti a strappo singolo, con le relative estensioni del caso (chi ripiega o capovolge il lembo di carta per un secondo uso, chi lo umidifica appena per avere un effetto detergente, chi sovrabbonda per evitare un contatto seppur furtivo, segreto e minimale con i propri escrementi, etc.). Un po' di autoanalisi potrebbe aiutarvi a consumare meno.

Insomma, il problema è serio e diverrà pressante in men che non si dica. Il mercato della carta igienica in Europa vale 8,5 miliardi di euro (oltre 440 milioni di euro solo in Italia) e rappresenta il 26% del consumo mondiale. Ogni europeo ne consuma in media 13 kg ogni anno, per un consumo europeo totale pari a 5,5 milioni di tonnellate o 22 miliardi di rotoli complessivi. Numeri che fanno girare la testa.
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Nella prossima puntata esamineremo l'impatto psicologico delle varie tipologie di sciacquone. Scopriremo da dove deriva l'innata puzza sotto il naso dei francesi in relazione alla conformazione "a tubo" dei loro water, in cui l'escremento sparisce immediatamente con un "pluf" per nasconderne la vista al suo stesso autore. Analizzeremo l'ambigua pratica americana di riempire la tazza d'acqua fino al bordo. Vedremo come mai la conformazione "a piattaforma" degli sciacquoni tedeschi, che bloccano l'escremento su di un semipiano orizzontale permettendo al creatore di esaminare il prodotto, abbia concorso a creare la famigerata indole aggressiva germanica e allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.